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Matrimoni per amore, matrimoni per forza…

“La maledizione di vivere tempi interessanti‘ 39

di Michele Nardelli

(3 marzo 2016) Il testo del Disegno di legge sulle “Unioni civili“ mi lascia piuttosto perplesso. Non per le ragioni che vengono addotte dallo schieramento conservatore o da quello laicista, bensì per una ragione più di fondo.

Tanto per evitare fraintendimenti, che il Parlamento cerchi di sanare un vuoto legislativo su questo tema e che si estendano diritti a persone che per il proprio orientamento sessuale ne erano deprivati, lo ritengo un fatto certamente positivo.

Epperò, in tutto il dibattito come nel testo approvato in Senato, intravvedo un approccio che non condivido, riconducibile ad una sorta di subalternità culturale all’istituzione del matrimonio. Che non è l’unica e sola forma attraverso la quale le persone decidono di vivere o di trascorrere una parte della loro vita insieme, e questo a prescindere dall’orientamento sessuale dei contraenti.

Voglio dire che, a mio avviso, le molte forme di unione o convivenza andrebbero considerate, pur nella distinzione non solo formale, sullo stesso piano del matrimonio e non come forme surrogate dello stesso.

Personalmente, ho alle spalle una convivenza di coppia durata trentasei anni che si è conclusa quasi per sfinimento, in assenza di una norma che estendesse almeno alcuni diritti elementari, con la scelta di addivenire al matrimonio civile. L’ho (l’abbiamo) vissuta come una sconfitta che – per reciproca assunzione di responsabilità – abbiamo scelto di accettare. Conosco inoltre un numero crescente di persone che hanno deciso di convivere per amicizia, mutuo soccorso, risposta alla solitudine, simpatia o altre ragioni di affinità. Uno spaccato di società che riguarda milioni di persone, non un vezzo anticonformista.

Mi sarei dunque aspettato che una nuova normativa portasse finalmente a riconoscere ad altre forme di unione diverse dal matrimonio un quadro di diritti che dovrebbero essere riconducibili alla persona in quanto partecipe ad uno dei molteplici nuclei di unione di cui si compone la società.

Così non è stato. Nel nuovo ordinamento invece, qualora approvato in sede definitiva, si determinerebbe una nuova disparità di trattamento, inaccettabile almeno quanto quella precedente. Tanto è vero che per le coppie di fatto – a prescindere dal loro orientamento sessuale – nel testo di legge approvato in uno dei due rami del Parlamento e che verosimilmente sarà approvato senza modifiche alla Camera dei Deputati, i diritti per queste forme di unione sono davvero limitati rispetto a quanto viene riconosciuto alla famiglia regolata dal matrimonio e ora dalle “Unioni civili“ composte da persone dello stesso sesso.

Vengono sì riconosciute le “Convivenze di fatto“, ma a queste vengono garantite tutele minori, come a definire una sorta di graduatoria delle legittimità del vivere assieme. L’aspetto più rilevante nelle convivenze è il diritto di assistenza, ma per il resto si tratta di ben poca cosa: la possibilità di accedere al mantenimento e agli alimenti in maniera proporzionale alla durata del rapporto di convivenza nel caso di separazione, criterio che dovrebbe regolare anche la possibilità di accedere al risarcimento in caso di morte del convivente per incidente. Viene introdotta la possibilità di accedere agli alloggi popolari e di permanere nella casa di abitazione per un massimo di cinque anni nell’eventualità di scomparsa del convivente. Ed infine viene prevista la possibilità di stipulare presso un notaio o un avvocato un “contratto di convivenza“ per regolare le modalità di contribuzione alla vita comune e il regime patrimoniale. Nulla invece per quanto concerne il rapporto con i figli, la reversibilità pensionistica e i diritti di successione.

Si è molto discusso sullo stralcio dal disegno di legge originario dello “stepchild adoption“ e del concetto di fedeltà nelle Unioni civili, stralcio che rappresenta la misura dell’ipocrisia del legislatore di fronte alla realtà. Ma anche rivelatore di una visione per la quale il matrimonio sarebbe la struttura fondante della società, nel primo caso la sola ad avere la legittimità morale della procreazione, nel secondo considerando quelle civili forme inferiori di unione (per cui sarebbe normale l’infedeltà). Rari i commenti sul fatto che la convivenza (ovvero la condizione “irregolare“ più diffusa) sia uscita come una sorta di Cenerentola.

Meglio di niente, si potrà dire, ma siamo ancora ben lontani dal garantire ai cittadini, nella loro libertà di scelta di vita (e non per questo meno responsabile), i medesimi diritti.

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