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Massimo Campanini, islamista controcorrente

Campanini se n’è andato ieri per una crisi cardiaca, alla soglia dei 66 anni, prendendoci in contropiede come nello stile radicale dei suoi libri, dopo aver convissuto negli ultimi anni con il Parkinson che ne aveva progressivamente ridotto l’autonomia motoria ma per nulla inficiato la grandezza intellettuale. Nonostante tutto — gli acciacchi, le operazioni, le medicine — la sua produzione era proseguita senza soste o rallentamenti, violando spesso i confini patri (su tutti The Qura’n: Modern Muslim Interpretations uscito per Routledge). Aveva cominciato il suo iter accademico all’Università di Urbino in un periodo eroico, di maestri di pensiero e di vita oggi più che mai rimpianti (Alessandro Pandolfi e Gian Paolo Calchi Novati solo per citarne alcuni). E dopo qualche anno, in cui aveva insegnato Storia dei Paesi arabi, aveva fatto rotta su Napoli (sponda L’Orientale). A Trento era arrivato nel 2011 per colmare un vuoto sull’islamistica e dare linfa alla cattedra di Storia dei Paesi islamici. Ne era nata un’amicizia e una collaborazione da editorialista per le nostre testate nell’intento di ripristinare un minimo di verità sui grandi temi che chiamavano in causa l’Islam.

Massimo era (e rimane) un uomo profondamente generoso, con una cultura che sfiorava l’erudizione ma che lui sapeva calare nel sociale, con questa sua propensione a farsi coinvolgere in ogni invito con un affaccio su qualche mondo. Ricordo che insieme presentammo nel 2017 il libro «La battaglia tra Islam e capitalismo» del pensatore radicale egiziano, Sayyd Qutb, testo peraltro tradotto da una sua allieva, Margherita Picchi. La Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento era già satura venti minuti prima dell’incontro, di un popolo assai eterogeneo. Molti giovani sostarono a terra, tra le file di seggiole, altri rimasero immobili per due ore in piedi. Ad ascoltarlo.

È difficile ripercorrere con precisione l’itinerario di Campanini, di un pensiero che si è dilatato in mille orizzonti mostrando un’inquietudine e una proiezione non comuni. Si è nutrito del fermento dei classici (da Averroè a al-Ghazali), si è dedicato all’esegesi (Il Corano e la sua interpretazione, Laterza), ha ripercorso le traiettorie storiche contemporanee (Storia del Medio Oriente, Il Mulino) e ha riservato all’Egitto una ricostruzione filologica (Storia dell’Egitto, dalla conquista araba ad oggi, Il Mulino) come si deve ai luoghi dell’anima (l’altro è la Liguria) in cui rimproverava all’Occidente di non aver compreso uno dei grandi leader egiziani, Nasser, che «aveva cercato di realizzare uno Stato, come diremmo in Occidente, “laico” senza con ciò abbandonare l’Islam». Ma è sul piano del pensiero politico che Campanini ha investito la maggior parte delle sue energie. Con un testo su tutti, «Islam e politica» (Il Mulino), divenuto un classico degli studi di filosofia politica e ripubblicato un anno fa con il titolo «La politica nell’Islam. Una interpretazione» (Il Mulino) in cui faceva i conti con gli ultimi anni di storia e anche con le sue analisi, a partire dalla crisi dell’Islam politico in cui lui aveva individuato, assolutamente controcorrente, l’«alternativa islamica» (che è anche il titolo di un prezioso lavoro uscito per Bruno Mondadori) ai sistemi occidentali. Più recentemente aveva pubblicato per Salerno editore «Maometto, l’inviato di Dio» anche qui innovando e leggendo il messaggio del Profeta non con gli occhi di un occidentale, ma di un musulmano. Di fronte alla mia obiezione sul ricorso al termine spregiativo di «Maometto» invece di «Muhammad», mi aveva risposto che l’editore aveva scelto così perché l’opinione pubblica italiana è rimasta ancorata a quel termine un po’ derisorio. Ma era felice di questo suo (ultimo) viaggio intellettuale.

Ci siamo sentiti in agosto, con il suo calore umano che era come una medicina e con la promessa di vederci. Mai arreso alla malattia, la combatteva con inflessioni di milanese schietto. Continueremo a dialogare con lui attraverso il suo corpus di scritti, a riscoprirlo e a interrogarlo. Prendendo anche esempio dalla sua estrema autonomia, di intellettuale che sapeva unire alto e basso, pensiero e azione senza farsi condizionare dai sistemi di relazione. Un uomo libero, improntato alla parità dei rapporti sia che avesse di fronte importanti leader islamisti, come il tunisino Rachid Ghannouchi che ieri lo ha pianto pubblicamente, sia uno dei suoi amati studenti.

* dal Corriere del Trentino del 10 ottobre 2020

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