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Lo sguardo delle classi dirigenti. Appunti sul festival dell’economia

Di fronte alla conclamata insostenibilità di un pianeta la cui impronta ecologica fa sì che le risorse annualmente prodotte dagli ecosistemi siano già consumate ogni anno ad una data sempre più sciaguratamente lontana dal 31 dicembre, è davvero strano che il tema del limite non s’imponga come il nodo cruciale da cui ripartire per l’elaborazione di un pensiero della sostenibilità. Al contrario, si continua a far finta di niente.

Allo stesso modo talvolta si riconosce che la natura della crisi è strutturale ma poi, come se questo non volesse dire nulla, si continua a ragionare come se la crisi fosse congiunturale, immaginando cioè che prima o poi la ripresa ci sarà. Ma se la crisi è strutturale vuol dire che i fondamentali sono saltati, che siamo in un tempo nuovo e che il rilancio dei consumi più che essere la soluzione ci avvicina ancora di più al baratro. A meno che non si teorizzi, e qualcuno lo fa, che i diritti delle persone non sono universali, che al contrario è il diritto naturale (la selezione del più forte) il principio ispiratore del nuovo millennio. Il che non è poi molto distante dall’idea che sia il mercato lo strumento di regolazione delle relazioni umane.

La cultura neoliberista, che ha segnato nel recente passato il pensiero dominante, è tutt’altro che archiviata. E l’approccio keynesiano, anch’esso fondato sull’illimitatezza delle risorse, non è la risposta.

Allora forse il tema delle classi dirigenti andrebbe collocato qui, in quel cambio di paradigma che la realtà impone e sul quale invece il pensiero appare ancorato ad un contesto che non esiste più. Questo, ovviamente, non significa che non vi sia un problema di una classe dirigente i cui meccanismi di selezione sono spesso condizionati dai criteri di fedeltà anziché dalle capacità, di apparati il cui potere cresce in maniera inversamente proporzionale alla qualità della politica, di burocrazie che – dopo tangentopoli – tendono a non assumersi la responsabilità di nulla, facendo diventare le procedure asfissianti e così via. E’ però la luna che dobbiamo guardare, non il dito.

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