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Libia. Non possiamo esimerci dall’avere un ruolo attivo.

Ad un secolo esatto dalla presa coloniale di Tripoli avremmo avuto l’occasione per un riscatto morale e civile ed invece siamo incapaci di balbettare alcunché. Polvere sullo scacchiere internazionale. Una vergogna che cade puntuale a 150 anni dall’unità d’Italia.

Ma non c’è unanimità nel Consiglio di Sicurezza. Scuse! Tutti e 15 gli Stati membri hanno votato per il deferimento alla Corte penale internazionale dell’Aia del Rais Gheddafi. Quindi l’amico di ieri è, ufficialmente e per tutti, il nemico di oggi. Parola di Comunità Internazionale.

L’Onu condannata dai più per inettitudine ha preso una netta posizione a difesa dei dimostranti pacifici, affermando "il principio per cui ovunque nel mondo si manifesta pacificamente per il rispetto dei diritti umani ci deve essere la protezione della comunità internazionale". Purtroppo questa protezione rimane sulla carta. Non c’è. Gli Stati armati, confinari, burocrati, mercenari e venditori d’arma sono pronti a cantare l’elmo di Scipio (che, guarda caso, fu l’elmo di Scipione l’Africano che nel 202 si scontrò con l’esercito di Annibale a Zama – attuale Algeria – infliggendo una sconfitta che rappresentò la fine della potenza cartaginese) e non vogliono affatto impegnarsi in alcunché rischiando una seconda Kigali od una terza Srebrenica. Due vergogne indelebili che credevamo appartenessero ormai al ‘900.

Torniamo ai nostri doveri. Uno dei punti rimasti in sospeso dalla nascita dell’Onu è l’articolo 43 della Carta, che riguarda l’obbligo per gli Stati di conferire una parte delle loro forze armate in via permanente all’Onu, per dare vita a una forza di polizia militare delle Nazioni Unite. Badiamo bene che non è l’Onu che è inadempiente ma bensì gli Stati che non riescono a pensarsi oltreconfine. La fragilissima e civilissima Europa, primo esportatore d’armamenti al mondo,  è stata per ben tre volte superata dalla Lega Araba nel condannare i despoti nordafricani.

Tutti gli Stati membri non fanno un solo passo indietro in politica estera per concedere sovranità all’Europa che non ha un benché minimo potere extraconfinario. Gli interessi spesso privati hanno la meglio sulle responsabilità oltremare.

Lo Stato apparato nato nel XIII-XIV secolo è ancora l’istituzione che ostacola sia l’Unione Europea che l’Onu. Pone veti in sede G8, Unione Europea, Nato sfasciando ciò che rimane dell’occidente. La Cina coglie l’opportunità di un impero atlantico in frantumi per offrirsi al Rais come sostituto nella gestione dei pozzi petroliferi. E Gheddafi accetta facendo saltare pure il Consiglio di Sicurezza.

Come sortirne? Una soluzione per l’oggi potrebbe essere un "intervento umanitario unilaterale modello operazione Turquoise in Rwanda nel 1994" che creò una via di fuga della popolazione (e dei responsabili del genocidio) e che ottenne l’avvallo non del Consiglio ma del Segretario Generale dell’Onu (cap. VII° della Carta) .

Oggi un’operazione simile avrebbe lo scopo, come allora, di creare una "safe zone" cintura di protezione su Bengasi. Solo la Francia o l’Inghilterra possono agire in quanto gli yankee, francamente, è difficile vederli alleati degli arabi dopo aver contribuito per decenni a tener aperta la ferita palestinese. Solo attraverso Parigi o Londra può quindi passare la dignità dell’Europa.

Roma con il suo esercito fatto più di comandanti che comandati che costa all’erario più di 20 miliardi anno semplicemente non esiste. È appena in grado di portare biscotti e cerotti. Utile ma non sufficiente. 

Insomma, visto il ritardo spaventoso con il quale abbiamo condannato i massacri è giunto il momento di distinguere l’intervento di "polizia internazionale" da quello politico.

Per il diritto internazionale "l’intervento militare di polizia internazionale si può avvalere di dispiegamenti a terra, anche consistenti, a sostegno e difesa della popolazione e la Comunità internazionale, a riguardo, non ha dubbi nel discernere da che parte stare". Certo. Questi dispiegamenti avrebbero bisogno di una risoluzione Onu che tarda a venire e dovrebbero essere accompagnati da una "no fly zone". Alcun aereo militare, intento a bombardare la propria gente ed i pozzi petroliferi, deve più decollare da Tripoli ma l’impasse del palazzo di Vetro non deve bloccare l’intervento dei più volonterosi che hanno una e più risoluzione per proteggere la popolazione di Bengasi.

Riguardo la "no fly zone" una sola domanda: "con che faccia andiamo a spendere ulteriori 16 miliardi di euro per 131 nuovi bombardieri se la nostra aviazione non è in grado di porre fine ad una così vasta violazione dei diritti umani"?

Poi urge un intervento politico multilaterale. Occorre "porre le basi reali per la comunità euro-mediterranea" aiutando la rivoluzione dei gelsomini a liberarsi delle autarchie e dittature che, peraltro, non son più disposte a garantire un prezzo del barile di petrolio inferiore ai cento dollari e che, quindi, non saranno più i nostri tutori privati.

Non possiamo rimanere a guardare autocelebrandosi. L’Europa e ciò che rimane dell’Italia non possono esimersi dall’aver un ruolo attivo nel Mediterraneo. Anche se, ormai, siamo a fine impero.

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