La memoria fragile
26 Gennaio 2012Un titolo di soggiorno per gli esuli libici
28 Gennaio 2012Hassan è di Pergine Valsugana e ha lavorato sulle cave di porfido a Fornace per più di vent’anni. Ora è titolare di un’azienda di movimento terra qui a Kelăat. Mustafà, un giovane che parla molto bene l’italiano, abita e lavora a Cles da quasi cinque anni. Ora è qui per qualche giorno di vacanza, ma a breve sarà di nuovo in Trentino. Ci invita a casa sua per farci conoscere la sua famiglia, ma non c’è proprio il tempo. E così molti altri, riconoscenti per come il Trentino li ha accolti in un momento difficile della loro vita. Anche Amid parla bene l’italiano ma con un simpatico accento sardo, frutto di quindici anni sull’isola che poi ha lasciato nel 2005 dopo aver fatto mille lavori e prima di entrare in conflitto con la concorrenza cinese. Issami era invece a Verona e lavorava nell’edilizia, un’esperienza dura con addosso il pregiudizio della gente. Ora è proprietario di un’impresa ed è il presidente del "Forum initiatives de la societe de la comunità marocaine a l’etranger au developpement national", la locale associazione degli emigranti che sono tornati in Marocco. Abdelali, dopo essersi laureato a Marrakech è venuto in Trentino, si è sposato e ha tre figli. Fa l’operatore di Anolf, l’associazione degli immigrati della Cisl e fa parte del Consiglio del Forum per la Pace e i Diritti Umani. E’ lui, insieme all’associazione degli ex emigrati, ad avere promosso l’incontro di oggi.
Così, nella sala di Kelăat Es-Sraghna, cittadina a circa 100 chilometri da Marrakech, avviene una cosa del tutto inedita. Che un rappresentante della comunità trentina sia qui, in Marocco, non in vacanza per i fatti propri ma per parlare della nostra autonomia, di come il Trentino sia potuto passare da terra dalla quale si partiva perché non c’era lavoro ad una delle regioni più ricche d’Europa. E del contributo che potrebbe venire dalla comunità degli immigrati marocchini (la seconda comunità per consistenza in Trentino, quasi cinquemila persone) alla rinascita democratica del loro paese d’origine. Non solo rimesse in denaro, dunque, ma esperienza ed idee.
Racconto del Trentino, del suo essere terra di confine, della sua lunga storia di autogoverno attraverso la gestione dei beni comuni, della fatica di lavorare una terra di montagna in valli spesso impervie, del dolore dell’emigrazione che portò fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento più di quarantamila trentini (un quinto della popolazione di allora) a cercare lavoro lontano da casa, fenomeno che seppure in termini più attenuati è proseguito fino ai primi anni ’70 quando – con il secondo statuto di autonomia – la nostra comunità fu in grado di poter gestire al meglio le proprie risorse.
Mi guardo intorno e questa terra non è meno bella della nostra. Olivi secolari, agrumeti ricchi dei loro frutti, il grano appena spuntato a colorare di verde intenso le pianure … Campi arati di fresco lasciano intendere una terra fertile, nonostante la stagione delle piogge sia stata finora piuttosto avara. Venendo da Marrakech, l’immagine in lontananza delle montagne dell’Atlante innevate ti raccontano di un Africa diversa dagli stereotipi a cui siamo abituati.
Qui, come altrove a guardar bene, non c’è bisogno di aiuti, anche se di gente povera ce n’è e molta. Ma l’impressione è che la povertà sia una realtà relativamente recente, prodotto dei fenomeni che nell’ultimo mezzo secolo hanno segnato questi luoghi piuttosto che dell’assenza di potenzialità. La corruzione si è sommata alla cattiva gestione delle risorse, l’abbandono dei villaggi e delle campagne ha provocato inurbamento selvaggio e lievitazione dei costi della terra come dell’abitare intorno alle città, nonché spaesamento e perdita di identità.
Prima che il nostro incontro abbia inizio, sommergo di domande i miei interlocutori per cercare di capire come si viveva in passato, quale memoria sia rimasta delle culture materiali dei luoghi, quale sia stato il fattore di rottura degli equilibri precedenti e dunque trovare il bandolo della matassa per ricominciare. E quale il contributo che potrebbe venire dal Trentino. Non siamo qui per parlare di aiuti e nemmeno loro ne vogliono sapere. Sono orgogliosi della loro terra e la dignità, parola chiave della primavera, è anche questo.
Mi hanno invitato qui per conoscere la nostra autonomia, perché ne hanno conosciuto l’efficacia ma non la sanno descrivere. Per la verità uno dei presenti interviene per spiegare agli altri che, da quello che ha potuto capire vivendo in Trentino, più autonomia significa in primo luogo maggiore responsabilità delle persone e più opportunità di sviluppo. Descrizione tutt’altro che banale. Perché proprio l’autonomia, più di qualsiasi progetto basato sulla logica dell’aiuto, potrebbe rappresentare un punto di partenza, facendo leva sulle potenzialità oggettive e sull’orgoglio di questa gente che è ritornata per mettere a disposizione della comunità, delle istituzioni come della società civile, quello di cui hanno fatto tesoro in Trentino, in Italia o altrove.
L’autonomia è un modo diverso di rappresentare l’organizzazione della società. E’ interessante che oggi in Marocco se ne parli e non solo in relazione alla situazione del Sahara Occidentale, che pure dal 1972 rivendica – senz’esito – l’indipendenza. Ne sono seguiti anni di guerra, campi con decine di migliaia di profughi, un armistizio concordato con la comunità internazionale in attesa di un referendum sull’autodeterminazione mai realizzato. Una situazione di stallo, determinata da complessi giochi di alleanze internazionali che poi si sono liquefatti con il mutare della storia ed il cadere dei muri. Ma Il Sahara Occidentale è ancora lì, nell’elenco dei paesi non riconosciuti delle Nazioni Unite. Ma dell’autonomia come forma di governo per l’insieme del paese.
Nei mesi scorsi, effetto magico della primavera araba, la svolta. Il concetto di autogoverno regionale viene introdotto per volontà della monarchia alauita nella nuova Costituzione del Marocco. Che cosa concretamente significhi questa parola, qui in Marocco, non è affatto chiaro. Declinarla in competenze locali, partecipazione responsabile, valorizzazione delle culture e delle unicità di ogni territorio, è un percorso niente affatto scontato e tutto da costruire. Un complesso equilibrio fatto di cessione di poteri, riorganizzazione istituzionale, un diverso rapporto fra i cittadini e la pubblica amministrazione, crescita culturale e formazione di una nuova classe dirigente.
Abdelali, Amid, Hassan, Issami, Mustafà e tanti altri testimoniano di un contributo importante che può venire dai migranti, che va ben al di là delle pur considerevoli rimesse che ogni anno inviano alle loro famiglie e che pure potrebbero costituire un’opportunità da valorizzare se solo le nostre Casse Rurali ne cogliessero la potenzialità. Un contributo che viene dall’incrocio degli sguardi, quel che ti capita quando guardi la tua terra da angolazioni diverse, dandoti perciò una profondità diversa. Ed avvalendosi della fantasia che le relazioni portano con sé, insieme alle opportunità di scambio e di conoscenza che della cooperazione internazionale dovrebbe essere l’essenza, ben oltre la logica degli aiuti umanitari. A tutto questo dovrebbe corrispondere un cambio nella gestione politica ed amministrativa delle comunità locali, fino ad oggi segnata da un assetto piramidale dello stato che uccide l’innovazione e la creatività.
Avverto nelle loro parole l’entusiasmo di sentirsi forse per la prima volta protagonisti nella loro terra. Che tutto questo possa partire da una piccola realtà agricola come Kelăat Es-Sraghna può sembrare impossibile, ma la rivolta della "dignità" partita da un piccolo villaggio della Tunisia ha saputo arrivare fino a Wall Street.
Kelăat Es-Sraghna, 14 gennaio 2012