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Pensa che qui sia tutto facile, sono attratti da tutte le cose che vedono in tv. Per un telefonino nuovo attraversano il Sahara. Se ce la fanno».
Appunto, se ce la fanno. E lui, tanti anni, fa è stato uno di questi ragazzi in fuga verso il sogno. E l’impatto con la realtà fu tremendo, ancor più che tremendo.
«Io andai via dal Senegal – racconta – perché c’era stata la siccità: il bestiame moriva, i campi davano poco. Lavorai duramente per un periodo dove si facevano i mattoni di terra e riuscii a raccogliere una cifretta, mi pare 350 mila lire. Arrivai in Mali, da lì l’Algeria e il Sahara. Terribile. Gli organizzatori di questi viaggi ci portarono con le jeep nel deserto per alcuni chilometri e da lì a piedi verso la Libia.
Ci guidava un tuareg con un cammello: il caldo era tremendo, l’ acqua poca. I ragazzi che erano con me, ragazzi del Mali, del Gambia, della Liberia, morivano uno dopo l’altro. Se rimanevano senza acqua li abbandonavamo. Non potevamo fare altro, l’acqua non si poteva dividere, era troppo poca.
Alcuni impazzivano e correvano nel deserto senza meta e finivano male. Qualcun altro veniva preso dai dolori al ventre, noi cercavamo per un momento di incitarli: “Dai resisti! Cammina!””. Ma non ce la facevano a rialzarsi e rimanevano lì