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Lampedusa, la politica oltre le lacrime

Ci vuole un poÕ di memoria per renderci conto che non stiamo assistendo ad unÕemergenza improvvisa. Non può dirsi "emergenza" un fenomeno che dura da decine di anni: cambiano le rotte e la provenienza delle persone, ma dallÕinizio degli anni Õ90 lÕItalia è terra di immigrazione e di sbarchi. E di tragedie, seppure dimenticate: chi ricorda gli oltre cento morti della Kater i Rades, carretta albanese speronata nel 1997 da una nave della nostra Marina militare mentre cercava di respingerla.

E quando non basta la memoria, ci vorrebbe un poÕ di storia a rammentarci che dasempre il mondo è attraversato da migranti in cerca di una vita migliore: giˆ nella Bibbia lo erano gli ebrei schiavi guidati da Mosè, o nella storia moderna gli irlandesi diretti in Nord America per fuggire alla carestia di metˆ Õ800. Noi trentini lo siamo stati massicciamente per almeno un secolo, fino a nemmeno quarantÕanni fa. Erano i nostri nonni a viaggiare sulle navi, anche da clandestini, come possiamo dimenticarcene? E come non vedere che anche oggi da questo nostro paese i giovani iniziano ad emigrare, non certo per scelta?

Se la storia non basta, pensiamo alla geografia. Il Mediterraneo è un mare chiuso,da sempre via di comunicazione e incontro fra le popolazioni delle diverse sponde. LÕulivo e la vite non sarebbero arrivati qui senza il suo tramite. EÕ pensabile oggi dividerlo in due da confini sigillati? La questione migratoria ha scosso come noi la Spagna, che ha steso venti chilometri di reticolati e filo spinato attorno alle sue enclave marocchine di Ceuta e Melilla, e la Grecia, dove è sorto addirittura un muro a difesa del confine con la Turchia. Ma si può fermare un mare, e chi ci naviga sopra? Dal 1988 ad oggi la fortezza Europa ha causato alle sue frontiere oltre diciannovemila morti censiti, e chissˆ quanti altri sconosciuti. EÕ una strage quotidiana, mentre le merci viaggiano libere…

Nemmeno la geografia, però, basta da sola ad affrontare i morti di Lampedusa. Bisogna ragionare sulla politica internazionale, sulle crisi insolute da decenni comequella somala, sui regimi dittatoriali come quello eritreo, sul destino delle primavere arabe abbandonate a se stesse, o ancora sulle guerre che il mondo non sa fermare come quella siriana. Senza un intervento deciso a monte sulle ragioni della fuga, a valle serve a poco lanciare missioni di soccorso in mare, per quanto dovute. E ripensare il ruolo della cooperazione internazionale, affinch lo spazio mediterraneo corrisponda ad unÕarea di relazioni economiche, commerciali e di reciproco scambio a fronte del fatto che questi paesi hanno straordinarie ricchezze e prerogative.

Il soccorso e la solidarietˆ, che pure marinai e lampedusani sanno offrire con generositˆ, non bastano. Occorre cambiare radicalmente le nostre leggi sullÕimmigrazione: cancellare la Bossi-Fini e con essa quei lager che sono i Centri di identificazione ed espulsione; darci una norma sul diritto dÕasilo per quei "cittadini del nulla", che non cÕè nonostante questo diritto sia scritto nella Costituzione Italiana; creare canali umanitari per soccorrere le vittime delle guerre; dotarci di un quadro europeo dÕaccoglienza che suddivida lo sforzo fra tutti i paesi membri; ripensare le politiche per i migranti economici, costruendo anche sistemi di scambio e di co-sviluppo coi paesi di provenienza. Ricordandoci peraltro che chi arriva con i barconi sulle nostre coste rappresenta una piccola percentuale dellÕimmigrazione totale in Italia, e questa a sua volta è infinitamente minore per numeri e proporzione a quella che investe altri paesi europei oppure paesi come Libano, Tunisia o Kenya, limitrofi ad aree di forte instabilitˆ. Possibile che il fenomeno crei più problemi a noi che a loro?

Ma umanizzare lÕarrivo non basta, va costruita lÕintegrazione quotidiana. Che non è assimilazione dei nuovi venuti, ma convivenza fra diversitˆ dentro una comunitˆ plurale. EÕ un fatto permanente che i nostri paesi siano sempre più abitati da persone di varia provenienza, come le nostre scuole sono colorate da bimbi di tutto il mondo. Può essere una ricchezza, se sappiamo coglierla e integrarla dentro il nostro essere Trentino. Una terra autonoma che sa mantenere le relazioni con i suoi circoli nel mondo, cos“ come accogliere i nuovi abitanti in unÕidea di cittadinanza locale e globale insieme. EÕ trentino – oltre che italiano ed europeo – chi ha genitori o nonni nati qui, e allo stesso modo devÕessere trentino-italiano-europeo chi ha genitori di altri paesima è nato nei nostri ospedali, e oggi frequenta i nostri asili e le nostre scuole. EÕ una questione di giustizia, oltre che di buon senso.

E anche allÕintegrazione dovremmo saper andare oltre, perch cittadinanza significa imparare a conoscere le storie come le geografie, le culture scientifiche come quelle materiali che attraverso lo spazio mediterraneo sono giunte sino a noi, in uno straordinario mosaico di pensieri, parole, musiche, costumi, cibi, spezie. Anche di conflitti, certo, dai quali abbiamo saputo imparare. NellÕarte dellÕincontro.

In questi anni, sottraendoci dalle logiche emergenziali, ne abbiamo fatto un percorsosulla cittadinanza euromediterranea con lÕobiettivo di confutare lÕidea nefasta dello scontro di civiltˆ. Per il semplice fatto che il mediterraneo è, in tutti i suoi colori, la nostra civiltˆ.

Emozioni, rabbia, memoria, ragionamenti, leggi, futuro. Tutto questo ci serve peraffrontare il dolore delle tragedie di queste ore. Per andare oltre le lacrime, con la buona politica.

Michele Nardelli è consigliere provinciale e candidato nelle liste del PD del Trentino

1 Comments

  1. stefano fait ha detto:

    Tonino Perna scrive sul Manifesto:

    Il governo delle larghe intese, rafforzato dagli ultimi “comici” avvenimenti, non è un’anomalia italiana, ma ormai il modello che tende a prevalere in diversi paesi europei. Il grande centro, non è punto di equilibrio virtuoso tra forze contrapposte, ma lo stallo, il disperato tentativo delle classi dominanti di mantenere lo status quo, il segno di una politica diventata “amorfa”, incapace di trovare una forma ed un contenuto diversi dal neoliberismo e dall’austerity, per uscire dalla Grande Depressione che sta impoverendo, economicamente e socialmente, la grande parte della popolazione europea.
    Per questo le prossimi elezioni europee sono una grande occasione per far sentire che esiste un’altra visione dell’Europa, una vera via d’uscita dalla crisi. Con una parola-chiave: riequilibrio. Riequilibrare per trasformare la società europea nel senso della democrazia, della giustizia e dell’equità. Questa crisi è il frutto di uno squilibrio: tra finanza ed economia reale; tra la cessione di sovranità di singoli stati e l’assenza di democrazia negli organi di governo della Ue; tra i redditi dei ceti medio-alti ed il resto della popolazione; tra produzione e un ambiente sempre più disarmato verso l’urto del consumo di territorio e sostanze inquinanti; tra classi dirigenti e il resto dei cittadini con un inedito deficit democratico; tra Nord e Sud Europa, con l’iniziale divario ormai diventato un abisso.
    La crisi è globale, ma in Europa le conseguenze sono più gravi perché più che vittima della crisi l’Europa lo è delle politiche delle classi dirigenti. Pertanto, per salvare l’Europa, per non affossarla – come faranno le forze centriste e dell’estrema destra nazionalista lasciate operare – dobbiamo imprimere una svolta radicale basata su alcuni elementi essenziali:
    1)Un riequilibrio dei redditi, colpendo la rendita finanziaria, premiando il lavoro e l’occupazione, garantendo al contempo a tutte/i un reddito di base, allargando in senso universalistico il welfare europeo. Così da permettere un effettivo riequilibrio nella bilancia dei pagamenti tra i paesi esportatori del Nord e quelli importatori del Sud. Diversamente si accentuerà la distanza fra debito e credito nell’eurozona.
    2)Un riequilibrio nel rapporto economia/ambiente, riconvertendo le produzioni inquinanti e favorendo le produzioni ecologicamente sostenibili, in luogo delle “grandi opere”, inutili ed inquinanti, programmando un capillare intervento di salvaguardia del territorio, oggi più che mai nudo ed indifeso di fronte ai cambiamenti climatici. Un vero programma di investimenti pubblici e privati a livello europeo.
    3)Un riequilibrio nei rapporti democratici fra cittadini e organi di potere. Il peso delle decisioni va spostato sul parlamento, organo elettivo, non sugli organismi designati dai governi, in un’ottica di un’Europa federale.
    4)Un riequilibrio fra i poteri della politica e quelli della finanza, oggi solo a vantaggio di quest’ultima. Con una revisione del ruolo della Bce e la piena occupazione tra i suoi obiettivi, il potere di prestare direttamente ai singoli paesi in difficoltà, diventare uno strumento di una politica sociale e non il dominus dell’economia. Significa tagliare le unghie alla finanza con la Tobin tax, l’eliminazione dei paradisi fiscali, la separazione delle banche commerciali da quelle di rischio, la drastica limitazione dell’uso dei derivati.
    5)Un riequilibrio nel rapporto Nord/Sud spostando l’asse della Ue verso il Mediterraneo, attraverso una forte alleanza tra i paesi del Sud-Europa, a partire dalla ristrutturazione del debito pubblico. Esigerne la restituzione a tappe forzate come vuole il fiscal compact significa uccidere le economie più deboli e accrescere il debito stesso. Vogliamo salvare le popolazioni del sud, i profughi, i migranti dalle stragi a cui questa Europa neoliberista e tecnocratica li ha condannati, riducendo il mare nostrum a un immenso cimitero del migrante ignoto.
    Tutto questo comporta una revisione dei trattati fondativi e la cancellazione di quelli successivi che strangolano le economie (fiscal compact). Questa è l’unica, realistica, strada per salvare l’unità europea, per evitare che l’euro sia un cappio insopportabile e funzioni solo a vantaggio delle economie più forti. Molti, in campo intellettuale e politico la pensano come noi, ma ancora manca una forza dotata di autorevolezza e consistenza che esprima questa visione e persegua con coerenza questi obiettivi. Questo problema si presenta in Italia in termini drammatici e urgenti. Il “grande centro” ha definitivamente spazzato via le differenze tra centro-destra e centro-sinistra, ed il malcontento che sale in Europa può diventare appannaggio di forze di estrema destra e dell’astensionismo. Dobbiamo avere il coraggio di progettare un percorso unitario, sfruttando anche l’esempio positivo che ci viene da alcuni paesi europei, con forze e movimenti che si richiamino a questi valori e obiettivi essenziali, puntando sulla concretezza più che non sulle sigle o i richiami ideologici. Dobbiamo guardare a una grande alleanza euromediterranea, che sappia parlare anche ai popoli del Nord dell’Europa, un’alleanza di lavoratori, precari, disoccupati, di donne e di giovani, protagonisti di una nuova cooperazione Sud-Nord nella Ue e nel Mediterraneo.
    Su queste basi pensiamo sia possibile costruire un nuovo schieramento politico, in grado eventualmente anche di partecipare alle prossime elezioni europee, in sintonia con le esperienze di sinistra d’alternativa di altri paesi europei, che si proponga di salvare l’unità europea trasformandola. Una forza radicale e di sinistra, sul piano dei valori, degli obiettivi e delle pratiche.
    Vogliamo un’Europa di nuova generazione, perché ha bisogno di essere rifondata e nei giovani ha proprio futuro. Ci piacerebbe aprire una pubblica discussione.

    TONINO PERNA
    ALFONSO GIANNI

    da il manifesto