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Case bruciate, riempite di copertoni e "accese" con bombe a mano, che oggi in parte sono state rimesse in piedi e stanno lì, senza intonaco, a punteggiare il paesaggio di un altipiano che sembra fuori dal tempo. In queste case ogni famiglia ha una parete con i ritratti dei suoi morti: sono tantissimi. A tornare sono stati donne, anziani, giovani che allora erano infanti. Qui, per odio bieco, sono completamente saltate una o due generazioni: ripartire è tremendamente difficile. Tanto più se si è in un posto in cui la montagna rende arduo fare agricoltura, dove l´equilibrio fra pascoli, bosco e attività umane si guadagna soltanto con il tempo e con il saper fare. E quando saltano generazioni, salta anche la trasmissione del sapere.

Salta tutto. È ciò che si è trovato davanti Gianni Rigoni Stern, il figlio di Mario, che come ama dire si è ammalato di "bosnite" a causa di Roberta Biagiarelli, l´autrice del film, nonché la prima animatrice di questa fiaba che ha come parole chiave pace, agricoltura, comunità. L´essere «tutti compaesani», per dirla con il papà di Gianni. La storia inizia con Roberta, che fa teatro e lo fa come luogo in cui le tematiche socio-politiche diventano la sua vita. Da oltre dieci anni Roberta frequenta Srebrenica, si adopera per quella zona dei Balcani così martoriata, e ne sono scaturiti un monologo teatrale, "A come Srebrenica" (1998), e un documentario, "Souvenir Srebrenica" (2006). Nel 2009 Roberta conosce Gianni da amici e gli domanda se ha voglia di insegnare alle donne di Srebrenica a potare gli alberi. Gianni è in pensione, per trent´anni è stato il Direttore della comunità montana dei sette comuni sull´altipiano di Asiago, è un uomo di montagna, sa fare agricoltura e cultura agricola. Accetta e al primo viaggio, nel 2009, gli viene la "bosnite". Rimane colpito dall´altipiano su cui è adagiato il piccolo villaggio di Sucéska: sembra quello di Asiago, immagina che fosse ridotto così anche il suo, dopo la prima guerra mondiale.

I segni della devastazione sono ancora evidenti nelle case e stalle distrutte, diroccate o ricostruite in estrema economia, ma da esperto Gianni vede subito i segni di un´altra devastazione: quella della fragile agricoltura montana. Non ci sono più animali, i pascoli sono abbandonati, stanno cedendo il passo al bosco, ancor più a felci
infestanti e velenose per le vacche. Le zone montane tornano selvagge, e a Sucéska gli abitanti non sanno più nemmeno come fare: non ci sono animali, ma non ci sono nemmeno i padri per insegnare ai figli ciò che hanno imparato dai nonni.

Nasce l´idea di donare delle vacche a queste famiglie, ma Gianni sa che ci vogliono gli animali adatti, che bisogna falciare le erbe cattive, che bisogna rendere le stalle luoghi igienicamente consoni. Che è necessario riportare la conoscenza tra gli abitanti di Sucéska. Allora s´inventa un corso: si sposta almeno una volta al mese, macinando chilometri con il fuoristrada comprato con la liquidazione, viene adottato e adotta le famiglie locali. S´instaura un rapporto di amicizia, di fiducia, Gianni visita ogni casa, ogni stalla. Diventa molto difficile scegliere a chi verranno assegnate le 48 vacche che, dopo una lunga ricerca, sono state messe a disposizione dalla Provincia Autonoma di Trento.

Mentre Gianni con Roberta si occupa anche di tutta la complessa trafila burocratica per esportare fuori dall´UE degli animali, il corso che mette in piedi diventa il prerequisito fondamentale: solo chi avrà partecipato a tutte le lezioni potrà avere una vacca. Per questo ci sono stati contadini che si sono fatti regolarmente decine di chilometri a piedi. Lì s´insegna di nuovo come fare agricoltura di montagna, si gettano le basi perché le
mucche non rimangano abbandonate a se stesse, vengano curate, si riproducano e restino nelle loro nuove famiglie per almeno cinque anni prima di essere macellate o vendute. Sembrano banalità, ma sono i fondamenti di una ricostruzione totale: ambiente, animali, edifici,
persone.

Nel film di Roberta è toccante vedere l´amore da cui partono le manze e manzette e l´amore in cui arrivano. I proprietari della Val Rendena fanno fatica a separarsi da queste mucche rustiche, perfette per la montagna; c´è chi piange al momento di salutarle. Ma dall´altra parte a Sucéska, dopo un lungo viaggio, c´è chi le accoglie con meraviglia, commozione e gratitudine. Sono di nuovo a casa, in un certo senso. Nel film siamo a Natale del 2010, e la storia si è ripetuta quest´anno, Natale 2011: altre 31 vacche, altro viaggio, altro finanziamento della Provincia di Trento, altri passaggi di conoscenza e nuovi rapporti umani che si dipanano. Il film è stato portato in giro, ha fatto conoscere questa vicenda e risvegliato la voglia di contribuire. Perché ci insegna che quando perdiamo di vista le cose minime, come le connessioni con i territori dove abitiamo, allora veniamo stroncati nella nostra possibilità di esistere. Non è un "avere" che Gianni e Roberta hanno riportato a Sucéska: è un "essere". Un essere persone, un essere comunità. Ed è significativo che tutto ciò sia passato attraverso antichi saperi agricoli: con lo scambio, determinante per formare identità, attraverso la necessariamente lenta e minuziosa ricostruzione di un sistema di pascoli, ecosistema essenziale per ogni zona montana abitata.

È una fiaba con tante morali, che però non ha un "lieto fine". Perché se è vero che di lieto in questa vicenda c´è tanto, non c´è nessuna volontà di porre una fine. Gianni e Roberta, e tutti quelli che li hanno aiutati, sono anche riusciti a raccogliere i soldi per comprare due trattori. Uno studio di avvocati trevigiani ne ha garantito uno devolvendo tutto il denaro stanziato per i regali di Natale. Tra la fine di febbraio e l´inizio di marzo, nel ventennale dell´assedio a Srebrenica, lì sbarcheranno dei trattori al posto dei carri armati. Il nuovo sogno, adesso, è quello di riuscire a costruire un caseificio: per trasformare in loco il latte e non doverlo vendere lontano. Sarà un altro passo determinante, conseguente, senza fretta. Gianni e Roberta cercano amici per fare il sogno insieme (andate su www.babelia.org), e qui ne hanno trovato uno: vogliamo aiutarli con Slow Food, e che questa fiaba si conosca ancora di più. Non c´è niente di più bello che sognare insieme, perché non possiamo sapere dove ci condurranno i nostri sogni, ma possiamo immaginare abbastanza chiaramente dove saremmo senza di essi.

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