Discreto?
20 Dicembre 2009La religione e la scuola
20 Dicembre 2009Partito con le migliori intenzioni, avendo giustamente preso le distanze dalle asfittiche scelte nazionali e con un ardito sguardo gettato oltre le Alpi, con il viatico della Legge provinciale sulla scuola e il conforto delle proposte della commissione coordinata dal prof. Pellerey, il mondo della scuola trentino sembrava destinato a confermare, una volta di più, la capacità di anticipare opzioni e di sapere stare al passo coi tempi.
Invece, il quadro che oggi abbiamo di fronte illustra tutt’altro destino e, specialmente per quanto riguarda la scuola secondaria superiore, deve fare i conti con reazioni e resistenze non inaspettate, ma certamente di forza superiore alle previsioni. E’ difficile, leggendo le pagine dei quotidiani, trovare voci a difesa delle scelte che Giunta provinciale e Dipartimento Istruzione stanno faticosamente portando avanti.
Proviamo allora a spiegarci le ragioni di questa situazione che rischia di rappresentare l’ennesima occasione perduta dal mondo della scuola di rinnovarsi; e di disperdere, almeno in parte, un progetto che poteva dare nuova linfa al sistema scolastico della nostra provincia. Andando per punti:
- 1. nell’individuare la pista da percorrere per dare al Trentino nuovi piani di studio è mancata la mano di un regista esperto e, a mio avviso, è stata sottovalutata l’onerosità dell’impresa, così come si sono messi frettolosamente da parte (per poi doverci fare i conti in seguito) i vincoli dovuti al fatto che la provincia di Trento ha un potere concorrente nel definire i percorsi dell’istruzione; nel negoziare con il Miur scelte diverse rispetto a quelle previste per il resto del Paese qualcosa non ha funzionato;
- 2. non si può negare che il Dipartimento Istruzione ha agito con approssimazioni e ambiguità in alcuni passi decisivi per dare puntuali informazioni sul processo in corso e costruire una prospettiva condivisa. Ad esempio, le consegne date ai gruppi di lavoro per i piani di studio del secondo ciclo costringono i docenti ad affannate ricerche di senso. La delibera della Giunta provinciale dello scorso 11 settembre ha mescolato aspetti diversi, sbagliando tavolo (elementi che riguardano la contrattazione sindacale) oppure appropriandosi indebitamente di competenze altrui (sono i collegi docenti titolari della definizione dell’unità di misura delle lezioni, essendo questione squisitamente didattica);
- 3. quindi, se il peccato originale ha una sede riconoscibile, a mio parere la risposta delle scuole, più che comprensibile, ha sbagliato però i toni e la sostanza. Se si vanno a leggere i molti documenti promossi da collegi dei docenti, da gruppi o da singoli insegnanti, hanno tutti dei tratti comuni: ben argomentati, con un uso sapiente della retorica, molto attenti a delineare le magnifiche e progressive sorti della rispettiva disciplina, per cui ogni ipotesi di modifica è considerata grave manomissione. Questa impostazione è stata ripercorsa in più di un editoriale e, in qualche caso, facendosi beffe degli innumerevoli e più che giustificati giudizi negativi dati sulle scelte che si stanno attuando a livello nazionale, ci sono incomprensibili accondiscendenze verso la politica scolastica del ministro Gelmini: come se scegliere una soluzione apparentemente meno negativa fosse un’intelligente via d’uscita;
- 4. occorre quindi ripristinare un punto di vista più ampio, ragionare in termini generali, perché qualsiasi riforma può decollare solo se c’è una visione d’insieme; se si riesce nello sforzo di non attribuire un ruolo preminente e assoluto a quella piuttosto che ad un’altra disciplina; se non si cade nella trappola di autoconvincersi che tutto va bene; se le ragioni dei docenti sanno dialogare con quelle degli studenti e costruire contributi utili per un progetto di scuola che non dimentichi le sensibilità di chi la scuola la vive nel quotidiano.
Siamo ancora in tempo per rimediare al pericolo di dissolvere colpevolmente le intenzioni di cambiare con saggezza l’attuale architettura della scuola trentina? Non lo so, forse siamo già su una china difficile da risalire. Però si potrebbe provare a fare alcuni passi. Intanto Giunta provinciale e Assessorato all’istruzione dovrebbero ritornare alle ambizioni originali e quindi non accettare una riforma a qualunque costo. Sarebbe necessario uno stop oppure, se proprio non fosse possibile un rinvio, una più che cauta delibera, che prefiguri – in modo più chiaro rispetto al discutibile provvedimento dello scorso settembre – le linee guida della futura offerta formativa in Trentino. Penso all’investimento sul biennio, alla definizione meno confusa del tempo scuola complessivo, alla soluzione dei nodi più controversi (ad esempio, la questione dell’insegnamento delle lingue straniere; il ruolo del latino, preso tra due fuochi: semplice simbolo o volano di tutti gli apprendimenti; e così via), all’indispensabile trasparenza nel definire le risorse disponibili nel prossimo futuro (finanziamenti e organici del personale, offerta formativa sul territorio e parametri di formazione delle classi).
Le scuole dovrebbero impegnarsi a pensare collegialmente e a fare proposte che non guardino solo al proprio interno, ma sappiano apprezzare l’intero contesto provinciale e imparino a leggere il presente e i possibili futuri più di quanto ora non facciano. Rivendicare autonomia ed esercizio critico, prima che un diritto, è un dovere per ogni scuola: quindi questo spazio va speso bene, per dare contributi e per salvaguardare, avendone buoni motivi, le esperienze migliori perché rifluiscano in un nuovo impianto e non vengano fatte cadere inopinatamente.
Non si tratta di discutere di riforme calate dall’alto piuttosto che di riforme nate dal basso. E’ questa una posizione senza senso e sterile, perché nessuna delle parti è autosufficiente, né si possono confondere competenze e ruoli. Una pausa (non inerzia!), di fronte alle nostre e altrui confusioni, non guasterebbe.
Alberto Tomasi
preside Liceo Da Vinci Trento