Boris Pahor a Trento
22 Aprile 2010Disincanto e post-disincanto
26 Aprile 2010Immancabilmente, come sempre succede nel nostro Paese, le reazioni si sprecano; la stampa in questi giorni fa fatica a dare conto di dichiarazioni soddisfatte oppure indignate, commenti a caldo oppure affidati ad autorevoli voci, testimonianze, strepiti, parole in libertà. Verrebbe da dire nulla di nuovo sotto il sole (anche nella solerzia di un ministro della Repubblica, in questo caso Mariastella Gelmini, a far proprie – senza alcun approfondimento – le ragioni, discutibili, della C.E.I., Conferenza Episcopale Italiana), andiamo avanti e aspettiamo la prossima puntata, consolandoci con l’azzeccata vignetta di Giannelli, apparsa sulla prima pagina del Corriere della Sera di giovedì 13 agosto, dove sotto il titolo "Notizie dalla Svizzera", si vede in primo piano un alto prelato che dice "Non c’è più religione!" e dietro un signore che chiosa "Ce l’ha con il Tar del Lazio o con l’abolizione del segreto bancario?"
Ma forse, provando a stare fuori dalla mischia e oltre il fatto contingente, qualche considerazione si può fare, affidandoci non tanto alle convinzioni personali, ma parlando di ciò che è, guardando anche alla realtà trentina. La prima cosa da dire è che, riguardo all’IRC, i giochi sono fatti, fin dall’intesa fra Stato Italiano e CEI del 1985. E’ indubbio che con quell’accordo – che aggiornava il Concordato del 1929 – l’IRC manteneva un suo spazio rilevante ed esclusivo (rispetto ad altre fedi) nel curricolo scolastico. In seguito, sono stati adottati provvedimenti che hanno disegnato per gli insegnanti di IRC un profilo specifico (e più conveniente in termini orario di servizio) e fissato norme ad hoc per il loro reclutamento, con ciò creando sicuramente una situazione vantaggiosa. In provincia di Trento, poi, la L. P. n. 5 del 2006 (Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino) dedica l’intero articolo 96 alla disciplina dei docenti di IRC. Tale articolo, in analogia con le norme nazionali, fra altre disposizioni, ribadisce che per insegnare la religione cattolica è necessario il benestare del vescovo e, qualora questo venga meno e purché il docente sia di ruolo, quest’ultimo possa transitare su altra cattedra. Questo è solo un esempio delle anomalie che accompagnano da sempre la materia in questione. Mi pare che, oggi come oggi, pensare ad una revisione di questa situazione sia velleitario, poiché c’è una maggioranza trasversale che non ha alcuna intenzione e interesse a toccare questi equilibri.
La seconda riflessione riguarda i docenti di IRC che operano nelle nostre scuole. Molti di loro, fortunamente e al di là della loro condizione giuridica, sono prima insegnanti, poi insegnanti di IRC. Spesso il loro contributo, in termini professionali, è apprezzabile e apprezzato anche da studenti indifferenti alla religione cattolica, poiché talvolta le ore di IRC sono uno spazio franco, all’interno di un curricolo rigidamente impostato, dove si può dialogare su aspetti di vita reale. Questo riconoscimento però non può annullare le contraddizioni a monte e può solo essere "governato" con maggiore o minore efficacia nell’ambito delle doverose intese che ogni collegio dei docenti deve costruire per il suo lavoro annuale.
Infine, c’è un aspetto apparentemente inspiegabile in tutta la vicenda: gli accordi in essere incidono anche sul piano semplicemente amministrativo e questo non dovrebbe essere necessario. Un solo esempio per capire: esaurite le operazioni di reclutamento di un docente (di ruolo oppure non di ruolo), verificati titoli e idoneità, è l’Amministrazione scolastica (Dipartimento istruzione o singole istituzioni scolastiche) a provvedere alla gestione dei docenti; per gli insegnanti di IRC non è così, perché – di fatto – la loro gestione è affidata all’apposito Ufficio della Curia.
Provvisoria (e malinconica) conclusione: è prevedibile che la sentenza del TAR abbia una vita difficile (nel migliore dei casi andrà incontro ad una stanca applicazione); nonostante le virtuose affermazioni, spesso la C.E.I. esercita un potere di interdizione a priori, anche quando non indispensabile alla tutela dei propri obiettivi; una laicità ragionevole e non antagonista oggi fatica ad avere il posto che le spetta nelle istituzioni: per essa, come diceva Eduardo, gli esami non finiscono mai.
Alberto Tomasi, preside Liceo Da Vinci Trento