La montagna disincantata
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8 Aprile 2023Ai tempi della rivoluzione francese abitavano il pianeta meno di un miliardo di esseri umani e si consumava una quantità di risorse irrilevante rispetto a quanto gli ecosistemi riuscivano a mettere a disposizione di tutti i viventi. Ancora nel 1960, in pieno boom economico, la popolazione globale era inferiore ai tre miliardi e il pianeta consumava la metà delle risorse disponibili. Il tema cruciale era quello della diseguaglianza, ovvero dell’iniqua distribuzione della ricchezza.
Oggi permangono le diseguaglianze, ma il contesto è profondamente cambiato. La popolazione globale ha superato la soglia degli 8 miliardi e il pianeta consuma ogni anno quasi il doppio di quanto gli ecosistemi sono in grado di produrre e, anche in questo, l’iniquità divide il mondo fra inclusi ed esclusi. Ma c’è qualcosa di più, che rende tutto maledettamente più complicato. Ed è quello che Francesco indica con il termine “rapidacion”.
Il tradizionale rapporto fra tempi storici (quel che accade nello spazio temporale della storia dell’uomo) e tempi biologici (quello degli ecosistemi) si è rovesciato e noi, nelle nostre piccole vite, assistiamo a fenomeni che prima avvenivano in ere geologiche. La fusione di un ghiacciaio, per fare un esempio, è il concludersi di un ecosistema che esiste almeno da 14 mila anni, ovvero dall’ultima glaciazione. Noi assistiamo alla fine di ecosistemi come il ghiacciaio della Marmolada o dell’Adamello che ci hanno permesso la vita e proprio non vogliamo comprendere le conseguenze che questo comporterà. Si dice che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati, ma è la rapidità con cui avviene questo rovesciamento «che contrasta – scrive Francesco – con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica» a precipitarci nell’inedito. E questo per effetto dell’azione dell’uomo, ovvero di un modello di sviluppo insostenibile.
Alla fatica di cambiare si aggiunge l’inadeguatezza del nostro sapere, incapaci di comprendere «le molteplici relazioni che esistono fra le cose» (la complessità), prigionieri come siamo della «fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane» e di un rapporto di dominio verso la natura di cui siamo infinitesima parte (la perdita del senso del limite).
Il pontificato di Francesco ha il grande merito di aiutarci a comprendere la deriva verso la quale ci siamo incamminati e «a riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» per invertire la rotta.