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11 Settembre 2011
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La Polonia tra passato e futuro

Terza parte del diario di viaggio dalla Polonia

di Martina Camatta

Giornata intensa quella di oggi, tre docenti universitarie attraverso le loro parole ci proiettano nella Polonia di ieri e di oggi. Alle 10 incontriamo al caffè “Chlodna 25” nel vecchio quartiere ebraico Agata Dziewulska, insegnante presso il Centrum Europejskie dell’Università di Varsavia. Per due ore ci riporta nella Polonia prima dell’89 facendo emergere i ricordi dell’infanzia. Inizia il suo viaggio nella memoria parlando di come siano i colori la cosa che maggiormente è cambiata, prima tutto era grigio, fatto di colori scuri: palazzi, vestiti, mobili, negozi.

Bisogna forzare l’immaginazione per ricreare la Varsavia di allora, adesso le insegne luminose e i cartelli pubblicitari fanno della città un luogo in cui i colori trovano posto ovunque. Forse in omaggio alla nostra delegazione ci racconta del suo viaggio in Italia assieme ai genitori nel 1981 a bordo di una Fiat 126 stipata di tutto il necessario per resistere un mese a costo zero dopo aver aspettato per mesi il permesso per uscire dal suo Paese ed aver superato una serie infinita di domande da parte della polizia, per non parlare dell’iter burocratico a cui venivano sottoposti coloro che volevano visitare un paese occidentale.

Agata ha vissuto nel quartiere a ovest di Varsavia, una serie di edifici nuovi ma senza collegamenti stradali con il centro della città fino alla metà degli anni ’90. Sono stati gli abitanti della zona a costruirsi una via di collegamento prendendo il cemento dall’aeroporto, auto organizzandosi e pensando assieme a come poterla sistemare, superando le difficoltà in gruppo. Con un sorriso dolcissimo e gli occhi ridenti ci dice che Solidarnosc non è stata una sorpresa, ma una logica conseguenza del regime comunista. Ci dice che per capire cosa volesse dire essere polacco negli anni ’80 bisogna comprendere il termine “arrangiarsi”: non si comprano le cose ci si arrangia! Non c’era comunicazione tra “l’autorità” e la gente, se c’era bisogno di qualcosa era alla gente che si chiedeva non all’autorità. Concludiamo la chiacchierata con Agata facendo il gioco “Il codice universale dei discorsi”. Ci dà un foglio con 4 colonne in cui ci sono pezzi di frasi, unendo qualsiasi frase della colonna uno a una qualsiasi frase delle colonne successive si ottiene un testo logico. Il numero di possibili combinazioni è pari a 10000. Una quantità sufficiente a garantire quaranta ore di discorso. Per dieci minuti a turno proviamo ad essere noi “L’autorità” e riempiamo la stanza di proclami con le più disparate combinazioni.

Mentre ci rechiamo all’altro appuntamento passiamo attraverso la “Via della Memoria”, all’interno dell’antico ghetto, che ricorda oggi le atrocità commesse in quegli anni.

Alle 14 incontriamo Małgorzata Fuszara avvocato e sociologa, collaboratrice nella stesura di testi legislativi sulla parità di genere. Durante il periodo comunista il salario delle donne era comunque più basso del 20%, ma erano garantiti diritti sociali che ora non sono pensabili. Infatti c’è stato un cambiamento significativo nel mondo del lavoro per le donne: il 51% della disoccupazione riguarda il mondo femminile, e di queste una percentuale maggiore sono laureate, senza contare che la disoccupazione femminile dura di gran lunga più tempo rispetto a quella maschile. Un problema che riguarda più le donne che gli uomini sono i contratti a progetto, che nella traduzione polacca vengono chiamati “contratti spazzatura” e non prevedono alcuna tutela dei diritti, se non le ventuno settimane per la maternità. Non posso fare a meno di pensare che nonostante tutto, il documento di Solidarnosc alla fine è stato firmato solamente da una donna tramviere!

Concludiamo la giornata incontrando Joanna Kurczewska, sociologa e storica delle idee, coautrice del libro “Solidarność and Conflict 1980/1981”, impegnata nello studio della società civile nella Polonia post-comunista. Il focus del suo intervento ruota attorno al ruolo dell’organizzazione sociale. Se si vuole capire la Polonia del ventunesimo secolo bisogna chiedersi quale fu l’istituzione più importante nel sistema precedente per poterla paragonare e vedere la differenza ideologica e sociale. Nel regime comunista l’istituzione più importante era l’azienda in cui si lavorava, un’istituzione non totalitaria ma totale (che garantiva all’interno della struttura in cui si lavorava l’asilo, l’associazione pensionati, etc…). Le aziende dopo l’89 hanno smesso di svolgere questa funzione sia nel pubblico che nel privato, allora la persona cerca di trovare questa nelle iniziative locali. Nelle inchieste condotte da sociologi e politologi la realtà più importante è la fiducia territoriale. La maggior parte dei polacchi ha fiducia nelle persone che li circondano. Credo che questa sia l’eredità che fa della Polonia un Paese che è riuscito a superare il periodo di transizione senza però obliare totalmente il passato che sembra non appartenerle più.

* Forum trentino per la pace e i Diritti Umani

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