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Aldo Capitini provò a rovesciare questa spirale della paura, introducendo il tema dell’educazione alla pace come prevenzione della guerra. Prima di lui Mohandas Karamchand Gandhi aveva indicato nel "satyagraha", letteralmente "il potere della verità", una risposta alla violenza e al sopruso. Sulla stessa lunghezza d’onda l’educatore e filosofo perugino indicava la necessità di uno scarto di pensiero che lo portava a dire "Se vuoi la pace, prepara la pace".

Che cosa vuol dire "preparare la pace"? A questa domanda, più che mai attuale, provò a dare risposta il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento nell’ormai lontano 10 giugno 1991, quando votò la Legge Provinciale n.11 "Promozione e diffusione della cultura della Pace". Lo scopo era quello di rendere permanente l’impegno delle istituzioni nella costruzione della pace attraverso politiche atte a promuovere «una migliore conoscenza dei problemi della pace, dei diritti umani, della solidarietà tra i popoli e delle modalità nonviolente di risoluzione dei conflitti». Così nacque il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani che proprio fra qualche giorno compirà vent’anni.

Esprimeva con questo la consapevolezza che la pace richiede un impegno costante di studio e di approfondimento, la capacità di riflettere sulle situazioni più o meno acute di conflitto, la sensibilità di imparare ad abitare i conflitti, tanto nella loro elaborazione come nel mettere a confronto esperienze e sperimentazioni originali di costruzione della riconciliazione. E l’attivazione di pratiche conseguenti sul piano del governo del proprio territorio, considerato che fra i compiti del Forum si prevede anche quello di «formulare proposte alla Giunta provinciale in relazione agli strumenti di programmazione degli interventi provinciali in materia di cultura, di emigrazione, di immigrazione, di solidarietà internazionale, di istruzione, di formazione e di politiche giovanili» (articolo 7, comma g, della LP 11/91).

Dobbiamo prendere atto che nel corso di questi vent’anni l’impegno per la pace ha risentito del clima generale e del fatto che la guerra è prepotentemente rientrata nella normalità della risoluzione delle controversie internazionali, dell’insorgere di nuove guerre motivate dal controllo di risorse strategiche sempre più limitate o da pretestuosi richiami all’insana idea dello "scontro di civiltà". Come non vedere, inoltre, che in genere tanto le istituzioni come la società civile tendono ad inseguire le emergenze piuttosto che abitare i conflitti e prevenirne la degenerazione violenta. Un po’ perché è più semplice curare che prevenire, un po’ perché una presenza preventiva di elaborazione richiede formazione e capacità di mettere in moto processi partecipativi ben diversi dall’impronta gerarchica dell’intervento di emergenza che pure richiederebbe conoscenza dei contesti, prudenza e visione.

Ora, a vent’anni dall’istituzione del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, vorrei che ci ponessimo qualche domanda. Qual è l’attualità del messaggio di Aldo Capitini? Come interpretiamo oggi la costruzione della pace? E, in questa terra, qual è stata l’efficacia della LP 11/91, quanto le istituzioni hanno saputo valorizzarne l’apporto, come la stessa società civile ha saputo utilizzare questo strumento per migliorare la qualità del proprio agire?

Rispondere a questi interrogativi richiederebbe ben più di queste poche righe. Come al tempo di Capitini, credo sia necessario un nuovo scarto di pensiero: iniziando col dire che la pace si declina oggi in primo luogo con il concetto di sobrietà. Nel 2030 saremo in nove miliardi di esseri umani sul pianeta e, a fronte del carattere limitato delle risorse, o mettiamo in discussione l’idea di sviluppo illimitato o sarà la guerra. Lo è già stata per il petrolio, lo è già per l’acqua, lo sarà per la terra. Lo è nella paura e nell’aggressività che vediamo intorno a noi.

Quanto all’efficacia della LP 11/91, devo dire che vedo il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno. Certo, se il Trentino è diverso, se l’associazionismo vi svolge un ruolo tanto importante, se possiamo vantare luoghi di eccellenza sul piano dell’informazione e della ricerca (Osservatorio Balcani Caucaso) e della formazione (Centro di formazione alla solidarietà internazionale), se il Trentino è terra di sperimentazione e buone pratiche sul piano della cooperazione internazionale, questo lo si deve anche all’autorevole azione del Forum, alle sensibilità e alle intuizioni di volta in volta espresse, ai tratti che hanno segnato l’interagire con un tempo in rapida trasformazione.

Dobbiamo dirci altresì senza reticenze che la cultura della pace non è entrata a pieno a far parte delle nostre comunità. Anche nelle istituzioni dell’autonomia, che pure hanno avuto la lungimiranza di darsi una legge unica nel suo genere in Italia, l’impegno per costruire e diffondere una cultura della pace viene considerata come questione del tutto marginale. C’è un’opacità di sguardo verso quel che accade intorno a noi, nel saper connettere territori e interdipendenze, quasi ci fossero cose ben più importanti da seguire che non il comprendere le trasformazioni in atto, venendo poi regolarmente travolti dal precipitare delle emergenze, belliche, ambientali o finanziarie che siano. Si fatica a comprendere l’esistenza di un legame fra la pace e gli stili di vita. C’è una progressiva banalizzazione delle parole che così diventano vuote, richiami rituali e retorici ad un’idea di pace che non s’interroga sulla responsabilità, nella consapevolezza che nessun uomo è un’isola.

E’ delle cose importanti che si sono messe in campo come dell’ipocrisia di una pace senza qualità che vorremmo parlare in occasione del ventennale del Forum. Lo faremo attraverso un momento di riflessione collettiva l’11 giugno nel forte di Cadine (ripensato come laboratorio permanente di elaborazione dei conflitti) e che coinvolgerà i presidenti del Forum che si sono avvicendati in questi vent’anni. E poi con un percorso che toccherà luoghi simbolici e pensieri: nella realizzazione di una raccolta visiva delle iniziative più significative che hanno segnato il percorso del Forum, nella preparazione della marcia Perugia Assisi (25 settembre), nell’omaggio che porteremo a Ventotene per riscoprire quel "manifesto" che legava la pace alla costruzione dell’Europa politica, nel lungo viaggio che stiamo realizzando attraverso i tratti di una cittadinanza euromediterranea che abbiamo smarrito nonostante lì abitino le nostre radici.

1 Comment

  1. stefano fait ha detto:

    “C’è un’opacità di sguardo verso quel che accade intorno a noi, nel saper connettere territori e interdipendenze, quasi ci fossero cose ben più importanti da seguire che non il comprendere le trasformazioni in atto, venendo poi regolarmente travolti dal precipitare delle emergenze, belliche, ambientali o finanziarie che siano. Si fatica a comprendere l’esistenza di un legame fra la pace e gli stili di vita. C’è una progressiva banalizzazione delle parole che così diventano vuote, richiami rituali e retorici ad un’idea di pace che non s’interroga sulla responsabilità, nella consapevolezza che nessun uomo è un’isola”.
    Si chiama localismo, o anche egoismo. Michele, vivi in una società tragicamente ripiegata su se stessa, anche se un po’ meno rispetto all’Alto Adige, dove ci si attacca su segnaletiche e bassorilievi e, mi scrive un giornalista ed insegnante locale particolarmente attivo su quel versante: “non riesco ad appassionarmi alla vicenda libica” [migliaia di morti, una nazione distrutta, decine di migliaia di profughi, ennesimo atto di forza della NATO-ONU e propaganda giornalistica sfrenata].
    Gente che resta sui binari mentre gli gridi che c’è un treno in arrivo.