E’ uscito il nuovo numero di “Pensiero Democratico”
26 Marzo 2010Pd: 49 senatori scrivono a Bersani
1 Aprile 2010I deputati PD hanno pubblicato il libro bianco del federalismo, sbugiardando la maggioranza. Alle regionali scegliete chi è davvero per l’autonomia
(27 marzo 2010) C’è un governo che se le suona e se le canta dicendosi federalista. Lo fa perché c’è il Carroccio che straparla di Padania, ma se si va a vedere cosa hanno fatto ci si accorge che è l’esecutivo più centralista nella nostra storia!
Lo ha fatto il Gruppo Pd della Camera con un’accurata analisi, esposta nel libro bianco “Federalisti a parole: il neo centralismo del governo Berlusconi“.
Più di 50 pagine che evidenziano le contraddizioni delle scelte del Governo e la sua vocazione centralistica:
- il costante accentramento delle decisioni finanziarie attraverso un’interpretazione rigida del patto di stabilità interno;
- la riduzione dell’autonomia finanziaria dei comuni e il taglio dell’Ici;
- il ricorso a norme e vincoli da applicare in modo indistinto a tutti gli enti territoriali;
- interventi autoritari in materia di servizi pubblici locali;
- l’uso massiccio di società per azioni che svolgono funzioni finora di competenza ministeriale;
- nessun passo avanti per la carta delle Autonomie, l’unico strumento in grado di affrontare le riforme in un quadro d’insieme, evitando farraginosità e contraddizioni;
- hanno effettuato tagli di oltre 19 miliardi dalla stessa riforma dei servizi pubblici locali – rispetto ai 64,3 stanziati dal governo Prodi fino al 2013 – con conseguenti rischi sulla certezza di servizi di base nelle comunità locali come: l’acqua, la tutela dell’ambiente, il trasporto pubblico;
- hanno svuotato i fondi per lo sviluppo del Sud (Fas), usati come un vero e proprio bancomat a disposizione del governo.
E la tanto sbandierata legge sul federalismo fiscale? Tranne che i proclami di Bossi, Calderoli, Maroni, Castelli e della compagnia di giro leghista non ha finora portato nulla di concreto: un solo decreto approvato, per di più senza intesa con le Regioni e le Autonomie locali, su norme che riguardano il trasferimento di beni demaniali e contengono il rischio di speculazioni e condizionamenti da parte di soggetti privati. Al momento, inoltre, la commissione bicamerale, prevista dalla legge per l’esame dei decreti attuativi, non ha ancora iniziato il suo lavoro.
Scelte che vanno contro l’effettivo decentramento delle competenze che dovrebbero passare per l’approvazione del federalismo fiscale; l’assegnazione agli enti locali di responsabilità inedite come l’ordine pubblico e la sicurezza; il percorso di realizzazione attraverso lo strumento della Carta delle Autonomie di una riforma dell’ordinamento della Repubblica.
In sostanza, c’è uno spostamento della titolarità dell’azione pubblica, ma non verso gli enti locali bensì come nel caso della Protezione Civile con l’affidamento a società esterne di appalti ed attività relative all’amministrazione sia centrale che periferica, con relativa destinazione e gestione di ingenti risorse pubbliche a singole persone. La creazione delle società in house – cioè società a prevalente o totale capitale pubblico- facenti a capo a un ministero non sono un esempio significativo del falso federalismo?
Il libro bianco si sofferma poi su quello che viene definito il “federalismo per abbandono”, analizzando la conseguenze negative derivate da un aumento di ruoli degli enti locali in settori molto delicati e l’obbligo di sostenere nei bilanci compiti in passato riservati allo Stato, in assenza di risorse per farvi fronte. Situazione su cui inoltre grava la mancanza di riforme istituzionali.
I deputati hanno fatto anche i conti in tasca al Governo: purtroppo la perdita di gettito dei Comuni, causata principalmente dal taglio dell’Ici, non è stata compensata sufficientemente dai trasferimenti statali. Per compensare l’abolizione dell’Ici alle famiglie più abbienti, quelle con un importo Ici superiore a 300 euro, lo Stato ha erogato agli oltre 8.000 comuni appena 3,3 miliardi di euro. Soldi che senza fare un regalo ai più ricchi si sarebbero potuti utilizzare per contrastare la crisi economica, per ridurre le imposte ai redditi bassi e medi, per estendere le coperture sociali contro la disoccupazione, per aiutare le piccole e medie imprese. E invece ne risulta che lo Stato è in affanno per aumentare i suoi contributi ai Comuni, e i Comuni restano comunque sotto un grave stress finanziario. Alla fine dei conti sono le spese per investimento a subirne le conseguenze: i contributi dello Stato ai Comuni per investimenti si sono ridotti da 3,3 miliardi nel 2008 a 1,7 miliardi nel 2009 fino a 1,4 miliardi nel 2010.
Le cifre dei tagli alle Regioni seguono la stessa linea: solo nell’ultima finanziaria ammontano a 165 milioni. A cui vanno aggiunti lo stop agli anticipi delle spese per la Sanità (siamo fermi ai 5,7 miliardi del 2008); il pignoramento dei beni delle Regioni impegnate a rientrare dal deficit sanitario; la riduzione dei fondi per l’edilizia scolastica; la ridefinizione degli imponibili di pertinenza regionale; la mancata erogazione di quasi 48 miliardi dovuti alla mancata ratifica dell’intesa per il 2008 delle quote di compartecipazione ai tributi erariali; il mancato trasferimento delle risorse ottenute con una riduzione di spesa superiore agli obiettivi da parte delle regioni (500 milioni solo per il 2008, finiti nelle spese dei ministeri).
Fra le iniziative che il governo non ha voluto portare avanti il Libro Bianco cita la mancata emanazione del piano straordinario di interventi per l’agricoltura concordato con le Regioni lo scorso anno e il blocco dei processi di regionalismo differenziato. Su questo ultimo aspetto, previsto dalla Costituzione, c’è un autentico paradosso perché il caso riguarda un tavolo di lavoro avviato dal precedente governo con la Regione Lombardia su 12 materie di cruciale importanza. Bloccata, infine, anche la norma sul cosiddetto “federalismo infrastrutturale” inserita nella finanziaria del 2008 dal governo Prodi che concedeva alle Regioni la gestione dei più importanti progetti per le infrastrutture stradali.
Il libro bianco si conclude con venti proposte del Partito Democratico per far ripartire le Regioni a partire dalle elezioni del 2010. Proposte che mirano a rendere le Regioni italiane più efficienti, più attente al merito, alla professionalità e alla separazione fra politica e gestione. Proposte che riguardano: la sanità, il trasporto pubblico locale, le infrastrutture, la gestione della finanza locale; atte a migliorare il coordinamento fra le Regioni stesse e lo Stato.
1. Introdurre nella sanità i “costi standard”. In base alle conoscenze esistenti, potranno emergere consistenti risparmi da utilizzare a seconda dei casi per ridurre la pressione fiscale e per aumentare il livello delle prestazioni nei settori in cui le regioni sono ancora al di sotto degli standard, a partire dall’assistenza, dalla non autosufficienza e dai servizi di fascia materno-infantile.
2. Armonizzare i bilanci regionali e renderli trasparenti; introducendo la rendicontazione sociale sui risultati ottenuti.
3. Frenare l´espansione dei costi degli apparati di auto amministrazione, sia politici che tecnici.
4. Autoregolamentare il costo delle assemblee elettive: che non superi quello della Camera nazionale, in base alle differenze di ampiezza demografica delle diverse Regioni.
5. Ridurre il numero di società pubbliche utilizzate per l´esercizio di funzioni dirette e assoggettarle a nuovi criteri di trasparenza e di rendicontazione.
6. Difendere ed estendere il merito e la valutazione della professionalità nell’accesso all’impiego pubblico, a partire dalle posizioni dirigenziali negli enti e nelle società partecipate.
7. Limitare drasticamente lo “spoil system” nelle amministrazioni pubbliche; stabilendo che il reclutamento dei dirigenti debba avvenire per concorso pubblico e introducendo obblighi di rotazione per gli incarichi dirigenziali.
8. Nella Sanità affidare le nomine a procedure pubbliche e a criteri di trasparenza, che selezionino i manager sulla base dei titoli professionali e scientifici. I manager vanno valutati per i risultati conseguiti e non in base alla loro fedeltà e compiacenza verso la politica.
9. Mettere in cima all´agenda politica e amministrativa la difesa della legalità e il contrasto ad ogni forma di criminalità: dal sostegno alle iniziative antiracket e antiusura, fino all´aiuto alle amministrazioni più deboli con la costruzione di stazioni appaltanti terze e indipendenti.
10. Difendere il principio della libertà di scelta per le collettività locali e della gestione industriale regolamentata in merito alle forme di organizzazione dei servizi pubblici locali, soprattutto nell’acqua.
11. Riconsiderare integralmente con Stato e Trenitalia la situazione dei trasporti metropolitani e regionali, che vanno migliorati in qualità del servizio e delle infrastrutture, anche anticipando l´attuazione di quanto previsto nella legge 42 sul federalismo fiscale.
12. Costituire un´Autorità di controllo nei settori dell’acqua, dell’ambiente e del trasporto, che abbia natura federale.
13. Attuare una svolta nelle politiche urbanistiche in relazione all’emergenza casa: privilegiando gli interventi di densificazione e di abbattimento e ricostruzione e gli schemi di “housing sociale”.
14. Tenere sotto controllo le spese correnti per dare spazio a nuovi investimenti, dando priorità a trasporto ecocompatibile, infrastrutture ambientali, contrasto al dissesto idrogeologico, sviluppo economico locale e contrasto alla crisi.
15. Essere disponibili a perdere margini di sovranità regionale per cooperare ai progetti di carattere sovraregionale e nazionale.
16. Chiedere il ripristino delle risorse per il Sud scippate negli ultimi due anni e nuove procedure di selezione e attuazione dei progetti, anche contribuendo alla costruzione di vere cabine di regia nazionali.
17. Promuovere, e non solo accettare, procedure di affiancamento per gli enti in difficoltà, in modo da garantire la loro convergenza verso le migliori pratiche amministrative, sperimentando il meccanismo dei “patti per la convergenza” introdotto con la legge 42 sul federalismo fiscale.
18. Semplificare drasticamente le procedure autorizzative, nell’ambito delle competenza delle Regioni, limitando al massimo i casi in cui più di un livello istituzionale (Regione, Provincia, Comune) debba esprimersi sulla stessa autorizzazione.
19. Cedere a Province e Comuni l´esercizio delle funzioni Amministrative, in base al criterio di adeguatezza.
20. Sperimentare sistemi regionali di perequazione della finanza locale, tarati sull’analisi dal basso dei fabbisogni legati ai servizi pubblici di prossimità: un compito a cui non potranno pienamente far fronte i fondi statali di perequazione previsti dalla legge 42 sul federalismo fiscale e che quindi chiede una nuova capacità di programmazione da parte delle Regioni, da costruire insieme agli enti locali dei territori.federalismo, che cambia la vita quotidiana di cittadini e imprese. Alle regionali scegliete chi è davvero per l’autonomia.