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L’utopia di uno stato democratico

Non so chi abbia scattato questa fotografia, ma la trovo bellissima

Come rispondono le popolazioni arabe a questa strage degli innocenti? Che succede ad Amman?

«Ci sono gigantesche manifestazioni. In piazza scendono i palestinesi ma anche i giordani, per una volta uniti nell’indignazione. Devo dire che i giordani che protestano sono più con Hamas di quanto lo siano i palestinesi, preoccupati per il destino del loro popolo. Tutto il mondo arabo, dal Medioriente al Nordafrica sta protestando, a Damasco, Tehran, Baghdad, in Marocco, Libano, Yemen, la rabbia è esplosa persino in Oman e in Bahrein. La rabbia monta anche contro gli Stati uniti e la loro politica di sostegno a Netanyahu. La protesta generale è anche contro i regimi arabi pronti alla pace con Tel Aviv senza neppure prendere in considerazione la causa palestinese. Tieni conto che le tv arabe 24 ore su 24 mandano in onda servizi e immagini terribili».

L’attacco di Hamas sembra aver ricompattato Israele dopo mesi di proteste popolari contro il Governo di destra.

«In quelle proteste non c’era il problema palestinese, sembrava andar bene a tutti la repressione quotidiana dei palestinesi così come il moltiplicarsi delle colonie, nell’illusione collettiva di avere una vita normale dentro i propri confini. Ognuno nella sua gabbia, quella di Israele dorata e l’altra maledetta. Dice un sondaggio pubblicato dai giornali israeliani che la fiducia nel Governo è scesa al 38%, ma al tempo stesso il 64% chiede che la guerra contro di noi continui».

Nell’inferno di questi giorni vedi qualche segnale positivo?

«La manifestazione degli ebrei democratici americani, sono giovani, di sinistra, chiedono umanità e la fine dell’occupazione, si vergognano per i crimini israeliani. è un fatto straordinario che me li fa sentire fratelli».

Pensi che la tua utopia, uno Stato democratico e accogliete abbia ancora senso?

«Perché, pensi che abbia più spazio oggi l’idea di due Stati indipendenti? Chi lo pensa cerca una scorciatoia: la striscia di Gaza è lunga 47 chilometri e ammassa 2,3 milioni di persone costrette a vivere come bestie braccate, non vedo per loro un futuro. Ora solo il 22% del territorio palestinese, Cisgiordania più Gaza, è palestinese, si fa per dire. Se sottrai lo spazio occupato dalle colonie scende al 16%, abitato da prigionieri. Ma non sono così ingenuo da non rendermi conto che lo Stato democratico resta la strada più difficile».

Sei tornato al villaggio delle tue origini, Lifta?

«Torno spesso, non questa volta perché i confini sono sbarrati».

In “Eppure una volta eravamo fratelli”, Ali ha scritto: «Ogni volta che torno penso a mio nonno che andava a Safad in Galilea per comprare un foulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all’inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna. Mi ricordo Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla mia famiglia in esilio la parte del guadagno dell’impresa finché non morì. Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman. Al posto delle case di pietra scolpite a mano nel mio bel villaggio di Lifta stanno costruendo un villaggio per ricchi turisti, mentre una volta era un rifugio sicuro per gli ebrei che scappavano dal fascismo e dal nazismo che li discriminava e li annientava nella tragedia dell’Olocausto».

* dal blog https://volerelaluna.it/

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