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di Alessandro Branz

(17 settembre 2012) In occasione della convention veronese per il lancio della candidatura di Renzi, richiesto di un parere, un elettore leghista, pur mantenendosi fedele al proprio credo politico, ha confessato l’intenzione di votare per Renzi alle primarie del centrosinistra. Ebbene: a me pare che in questa dichiarazione si rispecchino un po’ tutte le contraddizioni delle primarie all’italiana e della campagna elettorale che sta per iniziare. Sono soprattutto tre i punti che vorrei sinteticamente toccare.

Anzitutto, pur trattandosi di primarie di coalizione, pare di assistere ad una riedizione del congresso interno al PD, anche in virtù della circostanza che, perlomeno finora, la vera competizione è quella fra Bersani e Renzi. L’equivoco nasce dalla confusione che, anche a livello giornalistico, viene fatta tra “primarie” vere e proprie ed “elezione diretta del segretario” di un partito, che sono o dovrebbero essere cose molto diverse, ma i cui piani in tal caso si intersecano, anche a causa della disapplicazione della norma dello Statuto nazionale del PD che prevede la naturale candidatura a Presidente del Consiglio del leader in carica, senza ulteriori passaggi congressuali.

In secondo luogo, vorrei soffermarmi sulla natura della competizione. Sia chiaro, qui non è in gioco l’importanza delle primarie come veicolo di partecipazione democratica, ma semmai il tipo di primarie che viene adottato e il modello di partito che ne deriva. Infatti è del tutto evidente come, da quanto visto finora, emerga un partito dalla configurazione eminentemente “elettoralistica”, nel quale cioè il confronto, anziché svolgersi nelle sedi opportune e attraverso gli strumenti della discussione costruttiva, tende ad assumere una natura sempre più conflittuale. La conseguenza è che la soluzione delle legittime divaricazioni interne viene affidata soprattutto al voto e alla conta di vincitori e vinti, nel mentre i programmi e le posizioni si radicalizzano e ognuno tende a giocare le proprie carte affidandosi alla forza e capacità “attrattiva” e “mediatica” dei candidati.

In tal senso il rischio che io intravvedo è che i tentativi posti in essere in questi ultimi anni da Bersani e dal gruppo dirigente di porre parziale rimedio a questa deriva, insita nello stesso atto originario del PD (come testimoniano molte norme dello Statuto), oggi con questa competizione vengano meno o perlomeno perdano significato. E’ palese infatti come Renzi, che è obbiettivamente colui che meglio interpreta questa linea di tendenza, cercherà di spostare sempre più l’accento sulla propria persona alimentando inevitabilmente la “polarizzazione” del confronto: ne fanno fede fin d’ora il discorso del “rinnovamento” tout court e della “rottamazione” in quanto tale, nonché l’apertura (non tanto sorprendente, in fondo) agli elettori del centrodestra.

Infine, come ha rilevato Olivi su l’Adige del 13 settembre, le primarie nazionali tendono ad inquinare il dibattito locale. Infatti, se è vero che le due logiche non devono essere vissute come completamente impermeabili (rischiando con ciò una deriva localistica), è altrettanto vero che il posizionamento attuale può ingenerare confusione nella definizione dei programmi e delle candidature future. In altre parole: le posizioni che la vulgata corrente tende a definire oggi (erroneamente) “conservatrici”, domani, in occasione della campagna elettorale provinciale, potrebbero anche rivelarsi innovatrici e degne di attenzione.

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