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Il triplo tracciamento di cui abbiamo bisogno

Che fare quindi? Come progettare e governare nel caos? Come ri-pensare l’esistente non per ri-partire ma per ri-nascere?

Sono certamente messe a dura prova le nostre doti di orientamento. Lo abbiamo capito. Ci servono dati – tanti, buoni e aperti, come ci ricorda la campagna #datibenecomune – e capacità evolute per analizzarli, rendendoci così più bravi nelle diverse operazioni di tracciamento.

Per tracciare la malattia in primis. In attesa del vaccino è necessario rinunciare a pezzi delle nostre abitudini socializzanti, riducendo così le opportunità di contagio. Uno sforzo di comunità a tutela di ogni singolo, in un rinnovato dialogo tra libertà e responsabilità. Con numeri meno drammatici rispetto a quelli delle ultime settimane andrà poi raccolta la doppia sfida di elaborare una fotografia più precisa – territorio per territorio – del contagio e di procedere alla riorganizzazione e al rafforzamento dei presidi di medicina e cura, con attenzione particolare alle loro articolazioni di massima prossimità.

Parallelamente servirà tracciare le linee di faglia della sofferenza sociale. Una crisi planetaria e globalizzata di tale portata genera tensioni spurie – le abbiamo intraviste anche nelle piazze italiane – frutto di fragilità diffuse, spesso dalle caratteristiche inedite. Oltre i decreti ristoro – necessari ma non risolutivi – serviranno nuovi strumenti di welfare per agire dentro uno scenario così articolato e frammentato. Non solo strumenti compensativi rispetto alle perdite subite nel periodo della pandemia ma la revisione complessiva del rapporto tra lavoro (e non lavoro) e vita, lì dove è interessante che da più parti l’esigenza di un reddito universale senza condizioni venga segnalata come non più rimandabile.

In questa fase di transizione vanno osservate e alimentate tanto le vertenze che danno vita a processi migliorativi (basti pensare alla battaglia dei rider sulle forme contrattuali nel campo del delivery) quanto le alleanze che studiano e propongono nuove politiche radicalmente trasformative (il Forum Diseguaglianze e Diversità ne è il migliore, ma non unico, esempio).

Impossibile da slegare dalle due azioni che ho fin qui descritto è però un rinnovato sforzo di tracciamento politico. Federare i fermenti attivi, felice titolo di in un recente incontro romano. Riconoscere, ascoltare, interpretare e muoversi curiosamente dentro il formicolio che agita i territori, espressione questa rubata a Fabrizio Barca e Cristiano Gori. Includere i corpi estranei, i troppi e diversi esclusi da meccanismi partecipativi ancora insufficienti, spesso autoreferenziali.

Sentirsi movimento dei movimenti alla ricerca di una rappresentanza comune. Ri-connettere per ri-mediare la società. Questo è il nostro compito primario.

Dobbiamo essere animatori guidati dall’urgenza di pensare e agire, agire e pensare. Pungoli aguzzi e “fastidiosi”. Trovo perfetto questo appellativo (un complimento) che il New York Times riconosceva a donne che – tra loro la militante e urbanista Jane Jacobs – “tirano la Storia per la giacca senza mai arrendersi”, applicando nelle loro vite una costante opposizione alle ingiustizie e una spinta decisiva per l’apertura di spazi di opportunità. Perchè questa crisi non vada sprecata serve che emergano nuove leadership visionarie e generose, luoghi dell’attivismo e dell’organizzazione politica capaci di rinnovata fratellanza e progettualità, paradigmi di riferimento di sufficiente forza da rigenerare dalle basi la convivenza democratica.

Le diverse opere di tracciamento – almeno per quanto mi riguarda – nascono da questa consapevolezza d’insieme, dall’urgenza di ritrovare il filo del discorso e della pratica pubblica.

* https://pontidivista.wordpress.com/

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