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Il Senato: da ente inutile a ente pericoloso?

Moltissima gente in Italia la pensa così. Molti si sono accorti che la Costituzione è l’unica cosa che ha tenuto nella tempesta, che li ha salvati quando ci sono stati tentativi di golpe, stragi di Stato, carabinieri e guardie di finanza infedeli, terrorismo, Brigate Rosse, lo schianto del sistema politico e dei partiti. La Costituzione è stata quella che ha tenuto in piedi lo Stato, ha mantenuto l’unità del Paese, ha sconfitto la violenza, non solo per l’efficacia delle sue norme, ma per il suo straordinario prestigio, per la persuasività della sua visione dei diritti e dei doveri, per il consenso di massa di cui ha goduto e per l’onore con cui si è stati convinti che dovesse essere trattata. Questo patrimonio può rapidamente andare perduto. Perciò il problema non è stato mai se essa potesse essere modificata o no, perché è chiaro che poteva esserlo, il problema era del modo di farlo, era l’attenzione, la delicatezza, la cura con cui la Costituzione dovesse essere maneggiata anche nei processi delle sue eventuali modifiche. Quello che ora è successo è che questa complicità virtuosa con la Costituzione si è rotta, che questo riguardo è venuto meno.

Perciò la critica che è stata sollevata contro questa riforma prima ancora che sul merito è stata sul metodo. E’ sembrato che la riforma, subito volgarizzata come diretta all’abolizione del Senato, venisse intrapresa non per una vera necessità, ma per fini ad essa estranei, che venisse usata come strumento per qualche altra cosa, come mezzo di una lotta per il potere, come una grammatica per un’altra scrittura. È sembrato quindi che essa fosse maltrattata e che dopo, quale che fosse stato il punto d’arrivo, essa non sarebbe stata più autorevole, non sarebbe stata più credibile. Ha scandalizzato la fretta, e ha scandalizzato il piglio autoritario con cui si è preteso di raggiungere il risultato voluto. Se si deve togliere il Senato entro l’8 agosto bisognerebbe poter dimostrare che questo serve al vero bene della Repubblica, non per fare un inchino al presidente del Consiglio, perché se no c’è il rischio di finire come la Costa Concordia.

Se questo è il disagio che si è potuto avvertire sul piano generale, vi sono poi dei punti specifici di preoccupazione che vorrei brevemente illustrare.

1) Il primo riguarda la consapevolezza, da tutti condivisa, che lo Stato si trova nel vortice di grandi mutamenti. Cambia la sovranità, la moneta, lo statuto del lavoro, l’industria, il clima, la guerra. Nessuno sa dove si andrà a finire. L’assetto costituzionale che ha retto finora può rappresentare l’unico punto di stabilità, di rassicurazione, può rappresentare, per un Paese stressato, l’unica incognita che non si apre. Cominciare la riforma dalla decapitazione del sovrano, dimezzando il Parlamento, è imprudente, semmai è una cosa da fare alla fine, non all’inizio del processo riformatore. 

2) La seconda osservazione riguarda l’argomento secondo il quale da molti anni si sta tentando, senza riuscirci, di riformare la Costituzione. Ciò sarebbe frustrante. Ma non si tiene conto del fatto che si tratta di una riforma che è sempre venuta dal Palazzo, e per nulla sentita dal popolo. Addirittura essa è partita nel 1991 dal palazzo del Quirinale, quando il primo picconatore, Cossiga, mandò al Parlamento un messaggio, senza neanche la firma del presidente del consiglio, in cui dichiarava obsoleta, dopo la fine del muro di Berlino, la Costituzione del 48. Si è poi sempre avuta l’impressione che la destrutturazione del rapporto tra i poteri stabilito dalla Costituzione, fosse un interesse della classe politica, degli esecutivi, non del popolo. Altre sono le riforme volute dai cittadini. Essi sono riusciti a fare una riforma costituzionale, quando praticando in massa l’obiezione di coscienza, hanno fatto cadere il servizio militare obbligatorio previsto dall’art. 52 della Costituzione. E oggi sollecitano una riforma che vada ad incidere sull’art. 49 della Costituzione, perché non riconoscono più la capacità dei partiti di far sì che i cittadini concorrano a determinare la politica nazionale; questo rinnovamento dei partiti i cittadini mostrano di pretenderlo sia che come iscritti abbandonino in massa i partiti, sia che passino ai movimenti, sia che si volgano all’astensione elettorale e all’assenteismo politico. Ma così vengono meno gli strumenti stessi della politica. Perciò la prima riforma veramente necessaria sarebbe una legge di attuazione dell’art. 49 della Costituzione che garantisca la trasparenza e la democrazia interna dei partiti, li metta al riparo dalle catture di agenti esterni e con opportune incompatibilità tra cariche di partito e cariche pubbliche ne faccia organi della società e non dello Stato.

3) Un’altra cosa che ha fortemente allarmato l’area di opinione di cui sto parlando, è stata la sentenza della Corte costituzionale che ha insinuato il dubbio che questo Parlamento, essendo stato eletto con una legge incostituzionale che ha prodotto “un’illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare” non sarebbe idoneo alle “delicate funzioni connesse alla garanzia della Costituzione”, e quindi nemmeno a quelle di una revisione costituzionale. Ciò lascerebbe sulla Costituzione riformata la ferita di una mancanza di legittimazione. Ma al di là di questo molti cittadini sono stati colpiti dal fatto che la riforma in corso si è mostrata priva della maggioranza in Parlamento; infatti al Senato tutti i voti per i quali è stato concesso lo scrutinio segreto hanno fatto risultare la riforma in minoranza, e nel voto sul Jobs Act, 51 oppositori non hanno partecipato al voto mentre alcuni della maggioranza hanno dichiarato di aver votato a favore per ragioni di partito ma contro scienza e coscienza.

4) Nel merito della riforma del Senato io posso solo dire che nella mia esperienza in molte occasioni l’apporto del Senato al processo legislativo è stato determinante e prezioso. Si può benissimo far uscire il Senato dal circuito della fiducia, lasciando questa alla sola Camera, ma conservarlo come organo della legislazione. La legge 194 sull’aborto non avrebbe superato il vaglio delle sentenze della Corte e dei referendum popolari se il Senato non avesse cambiato la legge come era uscita dalla Camera. La Camera legiferando aveva fatto dell’aborto un postulato ideologico, mentre il Senato ne ha fatto un momento di responsabilità della donna e della società, mettendo in campo i consultori e provocando lo Stato a fare politiche di sostegno alla maternità responsabile e all’autodeterminazione della donna; ne è venuta una legge di cui oggi reclamano una vera applicazione anche quelli che allora vi si opposero. Così come il Senato ha prodotto quel modello di civiltà giuridica che è stata la legge Gozzini per il ritorno di un umanesimo nelle carceri. . Mai ricordo che il Senato ha fatto il ping pong delle leggi per sport; quella che era in gioco era la qualità della legislazione.

5) Sul Senato come è configurato dall’attuale riforma resta la gravissima riserva della sua sottrazione al voto popolare diretto. E dato che al Senato sono rimasti molti poteri di controllo e di indirizzo politico, con una forte incidenza anche sull’attività dell’esecutivo nonché su atti o documenti all’esame della Camera, il rischio è che le responsabilità del governo o di eletti che rappresentano la nazione, cadano sotto il vaglio e la censura di senatori non eletti che per Costituzione dovrebbero non rappresentare la nazione. Così il Senato che all’inizio era stato considerato come un Ente inutile, diventerebbe un Ente dannoso. Inoltre i termini ristrettissimi (in taluni casi 5 giorni) entro i quali il Senato potrebbe esercitare la sua facoltà di richiamare le leggi approvate dalla Camera, dovrebbero costringere i senatori a stare sempre a Roma, disertando così i loro compiti negli Enti locali. E c’è pure l’aporia che si può essere senatori a 18 anni, mentre per essere deputati ce ne vogliono 25. Altre gravi contraddizioni sono messe in luce dal dossier del Servizio Studi di questa Commissione. Se si restituisse al Senato la sua caratteristica di camera elettiva a suffragio universale e diretto, senza sbarramenti e premi di maggioranza, esso, al di fuori del rapporto di fiducia e quindi in condizione di reciproca indipendenza col governo, potrebbe assolvere un ruolo di garanzia e adempiere tra l’altro a compiti di alta legislazione (leggi organiche, codici, testi unici) per riportare ordine nella giungla legislativa italiana; e se si abolisse l’incompatibilità tra le cariche negli Enti locali e l’elezione al Senato, si potrebbe per altra via fare del Senato una larga espressione delle classi dirigenti locali, facendogli adempiere anche in questo modo alla funzione di maggiore raccordo tra lo Stato e le regioni.

6) Ancora una notazione riguarda la gratuità. Va benissimo non dare un’indennità ai senatori, soprattutto se pagati da un altro Ente. Però la gratuità è un valore positivo, non può essere né una punizione né un ingrediente di un populismo demagogico. Così il valore della gratuità è offuscato. Se ne potrebbe lasciare la scelta agli stessi senatori: chi avesse altre risorse potrebbe optare per la gratuità, chi avesse bisogno di un compenso per il suo lavoro dovrebbe avere il diritto, e perfino il dovere, di pretenderlo.

7) Infine la cosa più grave. Il Senato, che pure dovrebbe raccordarsi con l’Europa, che pure dovrebbe esprimere direttamente i territori, sarebbe escluso dalla decisione sullo stato di guerra. Questa diverrebbe un affare interno tra il governo e la sua maggioranza, peraltro costruita col sistema maggioritario. E qui si rivela la verità ultima della cosiddetta governabilità. Il risultato non è che il governo possa meglio governare il Paese, ma che possa farne quello che vuole portandolo perfino alla guerra. Invece in tutti i Paesi europei dove ci sono le due Camere, tutte e due sono coinvolte nella dichiarazione dello stato di guerra.

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