Spese militari, la fine di un tabù
7 Gennaio 2012Verso il declino degli Stati Uniti?
9 Gennaio 2012"L’ineluttabilità del mercato" disarma la gente, crea paura, Berlusconi cade e questo è bene, ma che il popolo di centro sinistra esulti e finga di non vedere che non cade per iniziativa dell’opposizione e di un programma alternativo, non è di buon auspicio per la politica di questo paese, come non lo è non vedere che la crisi è mondiale e ha travolto oltre gli USA, la Grecia, la Spagna (ricordate Zapatero idolatrato dal centro sinistra?), il Portogallo, l’Irlanda, ecc… Il governo italiano vara l’ennesimo programma a fotocopia, dettato giorno per giorno dai mercati.
Stiamo assistendo a qualcosa che non si era mai visto: il mercato e la speculazione, che vivono alla giornata, decidono la politica i programmi di lacrime e sangue per la maggioranza del popolo, commissariano le nazioni europee, formano i governi con propri esponenti.
Ma può la politica inseguire i mercati e vivere alla giornata?
Se così fosse, allora la crisi sarebbe ancora più drammatica perché la politica risulterebbe morta e il governo Monti sarebbe l’attestato di questa morte. Inoltre la democrazia è in coma, quando la politica, agli occhi della gente meno abbiente e dei lavoratori, viene screditata, ridicolizzata dai comici e resa inutile. Il programma è unico e le privatizzazioni, la svendita del patrimonio nazionale, restano un punto fermo per tutti.
Oggi, dopo il referendum, il movimento dell’acqua è più forte e più ramificato sul territorio però è innegabilmente in difficoltà. La minaccia dell’ingresso del privato nelle SPA pubbliche è di nuovo all’ordine del giorno, Cremona e Salerno e persino a Milano ci sono assessori (Tabacci, Sole 24 ore) che affermano la volontà di privatizzare anche l’acqua. Solo Napoli, dopo 6 anni di movimento, sembra avviarsi verso la ripubblicizzazione.
In un simile contesto, la strada della ripubblicizzazione ha ancora bisogno di accumulare forze, facendo leva su chi, sindaci e imprese, intende resistere alla spinta privatizzatrice sulle loro SPA in house e se possibile spingerle ad organizzarsi ed associarsi in comitati e in associazioni come Acqua Pubblica Europea presieduta da Anne le Strat, vicesindaco di Parigi e a cui partecipano tante SPA in house europee. Forse possiamo puntare ad un asse Napoli-Milano-Bari, tre realtà che nell’immaginario popolare rappresentano le punte più avanzate della partecipazione.
Affrontare la nuova realtà nel confronto.
I cittadini, con il loro voto, hanno inteso, al di la degli specifici quesiti, affermare che tutti i servizi pubblici locali e il servizio idrico in particolare devono essere pubblici e l’acqua non deve generare profitti. Ma oggi, non c’è istituzione italiana che interpreterà questo spirito del mandato popolare o anche solo e semplicemente il suo risultato (nemmeno il Presidente Napolitano farà sentire la sua voce sulla palese violazione della Costituzione).
La crisi economica devasta il vivere sociale, devasta la politica che dovrebbe dare risposte, così a noi, a tutti i movimenti sociali, vengono affidate inedite responsabilità, che non si possono più affrontare dentro la gabbia di consolidate certezze.
Tornando a noi. Con il primo quesito (abrogazione della legge Ronchi) abbiamo eliminato solo l’obbligatorietà alla gara per tutti i servizi pubblici locali. Da qui partono tutti i tentativi di smontare il referendum, violando la Costituzione, con il bastone (le minacce di commissariamento) e la carota (il premio una tantum per chi fa entrare il privato ):
– ignorando il responso referendario che toglie l’obbligatorietà alla privatizzazione per tutti i servizi pubblici locali e non solo per l’acqua;
– avvalendosi della libera facoltà dei sindaci di scegliere il tipo di gestione, per forzarli alle gare o alle fusioni, anche per il servizio idrico;
– per il secondo quesito sul 7% di profitti, cercando cavilli giuridici per non attuarlo.
Questo è quanto dobbiamo contrastare. Privi di finanziamenti, isolati, ricattati dai partiti, per molti sindaci non sarà facile trovare il coraggio politico di respingere i bastoni le carote e contrastare le gare e l’ingresso dei privati.
Un’iniziativa per rimettere il movimento nell’agenda della coscienza popolare annichilita dalla crisi.
L’abbiamo forse scordato, ma il referendum l’abbiamo vinto perché abbiamo parlato per 12 anni il linguaggio universale dell’acqua, non abbiamo accettato il piano che la politica dei contabili volevano imporci parlando solo di tariffe, di soldi che non ci sono e di efficienza dei privati. L’abbiamo vinto perché abbiamo parlato di diritti umani universali, di mercificazione di un bene comune fondamentale alla vita di tutti gli esseri viventi, quindi del diritto alla vita.
Abbiamo parlato di principi e valori altrettanto universali, scritti nel documento fondante il vivere assieme in questo mondo: la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.
Questi diritti rappresentano il cammino della civilizzazione umana e non si possono cancellare o ridurre ad ogni cambio dello spreed o a gradimento del mercato e delle agenzie di rating. Questo è il dramma del nostro tempo.
E’ necessario ritornare tutti a comunicare a formare coscienze e nuovo senso comune tenendoci fuori dalle culture dell’antagonismo più o meno radicale violento, settario, testimoniale.
La manifestazione del 15 ottobre ha comunicato cose negative, ha collocato l’acqua e il movimento, nello spazio di un’area politica e di una strategia precostituita, quella degli antagonisti. Siamo tutti antagonisti al neoliberismo, ma questo termine nel nostro paese non è un aggettivo, è una proposta politica, strategica e organizzativa, con alle spalle una lunga storia, dal Potere operaio, all’Autonomia operaia fino ai Centri sociali. Una storia di sovrapposizione sui movimenti, di violentismo e di fallimenti.
La storia del movimento dell’acqua è stata cosa diversa, sta agli antipodi, è articolata, è frutto di un lavoro capillare locale, nazionale e internazionale, non urlato, non testimoniale, rivolto a tutti, ricostruttivo del perduto senso comune dell’interesse generale e della solidarietà con chi ne soffre l’assenza, è fatto di carovane nei punti caldi del mondo.
Il mercato e la politica
Il mercato cancella la politica, le istituzioni, il respiro universale e, ancora più grave, cancella l’idea di partecipazione. Ricordare al popolo di sinistra e ai movimenti alcune verità è opportuno:
– vincere sull’acqua è vincere tutti e bisognerebbe concentrare le forze di tutti i movimenti per respingere l’attacco al referendum sull’acqua;
– fare politica non è la cancellazione dei partiti, ma non può più essere la ricerca del potere, non può più essere l’esercizio, spesso tifoso, di far vincere il proprio partito, la propria squadra, la propria ipotesi più o meno coerente, rivoluzionaria o riformista che sia…
Fare politica è, prima di tutto, far crescere la coscienza e la partecipazione del popolo e costruire un nuovo senso comune tra la gente. La politica sta oggi in bilico tra il "coma profondo" procurato dal mercato e la "vita" che i movimenti le infondono con i loro contenuti. A loro tocca la grande responsabilità di riscriverla …
Riprendere la nostra storia
Occorre dare senso e attualità alla battaglia sulle privatizzazioni, riprendendo ciò che l’acqua sta rendendo visibile e percepibile alla gente, ovvero che le privatizzazioni sottendono la privatizzazione dei diritti che diventano: io pago, io ho il diritto, sottendono la rottura di ogni relazione collettiva nella nostra società.
La tragedia delle alluvioni, i mutamenti climatici, il degrado del territorio e del patrimonio culturale del nostro paese, la decadenza delle reti dei servizi pubblici. In una parola la messa in sicurezza del nostro paese non si affronta privatizzando e con i tagli della spesa pubblica, ma con la risposta della politica che nella crisi trova in questi una occasione di rilancio occupazionale.
E ancora, la politica che risponde al "dove trovare i soldi" colpendo la speculazione finanaziaria con un movimento mondiale sulla Tobin Tax. E’ cosa questa che riguarda il movimento dell’acqua dentro ai Forum Sociali Mondiali oggi in piena crisi.
E’ incredibile pensate: i Forum Sociali Mondiali hanno lanciato la Tobin Tax nel 1998, quando le istituzioni di tutto il mondo la osteggiavano e la ignoravano, ora che ne parlano molti governi, il Forum Sociale Mondiale tace, non ne parla più.
Dopo il referendum.
Subito dopo la vittoria c’è chi ha pensato che si chiudeva un ciclo di 12 anni e che pertanto dovevamo proiettarci verso un più ampio movimento dei beni comuni: dall’acqua, ai servizi pubblici, dal lavoro ad internet ecc…
Dentro tale prospettiva l’acqua diluisce la propria forza e non serve nemmeno alla crescita di altre narrazioni. Quali sono beni comuni? Ma sopratutto: quale comune denominatore, quali obbiettivi comuni, quale vertenza li può tenere assieme? Altri hanno pensato alla nascita di uno spazio alternativo, di lotta dentro al quale far convergere tutto ciò che si scontra nei territori e nel sociale (dall’acqua alla TAV, ai precari, ai rifiuti ecc..).
Entrambe sono state delle scappatoie che hanno allentato la nostra guardia. Quali e quanti sono i beni comuni è un esercizio che ci porta solo a teoriche disquisizioni: il lavoro è un bene comune? L’acqua è un servizio pubblico come gli altri?
Oggi i beni comuni da affrontare in modo convergente sono i grandi elementi della vita: Aria – Acqua – Terra/cibo – Fuoco/Energia, caratterizzati da Esauribilità, Indispensabilità, Insostituibilità, Universalità del diritto, necessità di partecipazione.
Auspicabile è la crescita di narrazioni mature su questi beni fondamentali, che possano trovare poi convergenze ed obbiettivi comuni. Oggi un movimento con la stessa o forse superiore maturazione di quello dell’acqua è il movimento sulla Terra, la sovranità alimentare, il cibo sostenibile, l’agricoltura compatibile e della difesa del territorio dal degrado e l’altro può essere quello dell’energia. Tra questi vanno trovate convergenze.
Il movimento dell’acqua ha cercato consenso tra tutti, non "l’avversità" verso tutti. Il movimento dell’acqua può e deve essere un modello per il nuovo ciclo di lotte e di pensiero, che si annuncia con i giovani in piazza a New York, a Madrid e con i ragazzi che spalano il fango a Genova ecc…
Anche per loro, la morte della politica e la chiusura nel recinto degli antagonisti, sono un qualcosa con cui dovranno fare i conti.
Abbiamo parlato a tutti.
Pensiamoci: 27 milioni di italiani hanno votato il referendum. Da oltre 30 anni il PCI/PD, con alchimie politiche, insegue un "centro" senza mai riuscire ad acchiapparlo ed ecco che il movimento dell’acqua su di un tema forte, che da solo può esemplificare il cammino dell’alternativa politica, ha conquistato il centro, la destra, i credenti e i non credenti e questo deve pur insegnare qualcosa.
Forse noi stessi non abbiamo riflettuto sufficientemente su: Quale modo di fare politica, quale rivoluzione culturale sta dietro allo straordinario risultato del referendum?Quale responsabilità viene consegnata oggi ai movimenti?
PS. Ora una voce che viene da lontano, che parla di crisi e di liberismo economico. Quando la politica era autonoma dal mercato e parlava di diritti e di principi universali.
Dall’intervento di insediamento del presidente USA Franklin Delano Roosevelt: 4 Marzo 1933 nel pieno della crisi del 1929.
«Con questo spirito tutti noi – io e voi – affrontiamo le nostre comuni difficoltà… Non siamo stati colpiti dalla piaga delle locuste… Ciò accade innanzitutto perché chi domina lo scambio di beni materiali ha fallito… La condotta degli speculatori senza scrupoli è ora di fronte al giudizio dell’opinione pubblica e alla ripulsa dei cuori e della ragione degli uomini.
Le uniche regole che conoscono sono quelle di una generazione di egoisti privi di di una visione del futuro e quando questa manca il popolo soffre.
… Il nostro obiettivo più importante è quello di far tornare la gente a lavorare… Lo possiamo realizzare attraverso assunzioni governative dirette, affrontando l’impegno come faremmo con un’emergenza bellica, ma, al contempo, grazie a queste assunzioni, portare a termine progetti di riorganizzare le nostre risorse naturali.
… In questo sforzo per un rilancio dell’occupazione….Abbiamo bisogno di una severa azione di controllo su tutte le attività bancarie, creditizie e di investimento, per porre fine alle speculazioni con danaro altrui…
Cinque mesi dopo al Congresso…
… Gli aiuti comunali e statali sono stati estesi al massimo. Come sapete, abbiamo messo trecentomila giovani uomini a lavorare a progetti concreti e di pubblica utilità nelle nostre foreste e a prevenire l’erosione del suolo e le alluvioni….
…Un grande programma di lavori pubblici da tre miliardi di dollari per la costruzione di reti elettriche e strade, di imbarcazioni per la navigazione interna, per la prevenzione delle alluvioni e per migliaia di progetti comunali e statali…
… grazie a uno sforzo democratico dell’industria possiamo ottenere un aumento generale degli stipendi e una riduzione delle ore di lavoro…
Si potrà farlo solo se permetteremo e incoraggeremo la cooperazione in ambito industriale, perché se non ci sarà unità di azione pochi uomini egoistici in ogni ambito continueranno certamente a pagare stipendi da fame e a esigere lunghi turni lavorativi.
La concorrenza dovrà scegliere se seguirli sulla strada dell’aumento progressivo dello sfruttamento.
Abbiamo visto questo tipo di azioni determinare la continua caduta verso l’inferno economico degli ultimi 4 anni.
La proposta è semplice: se tutti i datori di lavoro agiranno di concerto per ridurre l’orario di lavoro e per aumentare gli stipendi, noi potremmo aumentare l’occupazione.
Sembra scritto nel nostro tempo, solo che oggi nessun leader ha questa voce.
Scrive Guido Rossi «… la vera crisi, che ha portato il capitalismo finanziario ad occupare le istituzioni democratiche rendendole impotenti a risolvere i problemi e a alimentare la paura, l’insicurezza, i diritti oscurati, non è dovuta solo alla mancanza di leader europei… La causa sta principalmente nella cultura occidentale degradata a principi di avidità che travolgono qualunque tessuto connettivo della società civile. Il capitalismo ha ucciso i diritti.» (Corriere della Sera)