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Il referendum e il Pd: il dilemma per la sinistra

Nel merito dunque non ci sono ragioni per il SI che giustifichino la scommessa fatta da Renzi e prevalgono le ragioni del NO (depurate ovviamente dagli eccessi). E infatti ormai si chiede un SI per non fermare il cambiamento, per non indebolire il governo, per l’Europa, per non dare fiato alla destra…come peraltro c’è chi chiede il NO per fermare Renzi, per cambiare sistema elettorale o per far saltare il governo.

Si torna cioè al dato politico, cioè all’interpretazione che si vuole dare al voto. Perché gli effetti reali della riforma o della sua bocciatura non son tali da comportare cambiamenti significativi che ci potranno essere invece nell’uso che si farà del risultato.

Un referendum su Renzi, e allora chi è per il No si ritroverà a votare SI per non indebolire Renzi e chi potrebbe votare Si si ritroverà a votare NO per avversione a Renzi, e ci saranno molti SI per dire NO al fronte del NO e molti NO per i toni usati dal fronte dei SI. Si scambieranno le parti e si scambieranno i voti.

Non c’è posto per chi vorrebbe difendere il governo e respingere la riforma votando NO. Né per chi vorrebbe votare SI senza per questo dare mano libera a Renzi.

A parte i devoti e gli obbedienti, o chi pensa di votare per ridurre i politici, i più sono indecisi, anche tra gli elettori del PD.

C’era la possibilità di evitare questo dilemma e questa spaccatura. Bastava riportare il referendum a quello che doveva essere, non la scommessa sulla leadership di Renzi ma un voto su una proposta di riforma senza aggancio con il pessimo sistema elettorale. Ma, pensando ad una marcia trionfale, tutte le proposte di mediazione sono state rifiutate salvo l’accordo dell’ultima ora con Cuperlo nel tentativo di recuperare i consensi fino a ieri disprezzati. Un accordo che, a prescindere se sarà rispettato, giunge tardivo, ma che potrà permettere l’ennesimo gesto di responsabilità a chi continua ad essere responsabile senza che la cosa abbia un riconoscimento (“fuori fuori..”).

Rimane perciò il dilemma per una sinistra incapace di governare le trasformazioni e incapace pure di rimanere unita. E non è certo il dilemma nel merito di un referendum che non meriterebbe che un decimo dell’impegno profuso.

Tutti concordano sul fatto che il problema del risultato sarà per il PD, che farà fatica a ritrovarsi, perché se vince il SI, salvo un miracolo, si accantonerà definitivamente l’idea costitutiva del PD per lasciare il posto al Partito di Renzi e se vince il NO non si sa se il PD riuscirà a ripartire, tanto più dopo aver consegnato a Renzi immagine e potere.

Nel primo caso c’è una ragionevole certezza sull’involuzione politica del PD, nel secondo caso c’è una remota possibilità che il PD possa ritornare ad essere un partito. Molto remota a dire il vero perché se ci fosse stato un partito che possa definirsi tale di certo non avrebbe lasciato che il suo segretario facesse un uso così spregiudicato, personale e prepotente del referendum. E molto remota perché la minoranza PD non si è dimostrata all’altezza: se una riforma la voti per tre volte è difficile che poi la si possa barattare con la modifica del sistema elettorale e comunque difficile da capire perché poi non vada bene la mediazione di Cuperlo. Ma che una minoranza così debole diventi il problema al punto da invocare il “fuori fuori” la dice lunga sul degrado del PD.

Il PD ha un senso se mantiene la sua natura plurale, se si riduce ad una fazione e ad un solo uomo o se si ritorna al gruppo dirigente del PCI, non avrà un futuro o almeno non lo avrà come partito della sinistra. Non ho partecipato alla Costituente del PD per ritrovarmi a dover scegliere tra il partito del capo e il partito di una parte della sinistra. Avevo e avrei l’ambizione di partecipare ad una comunità democratica plurale che sa affrontare i cambiamenti senza buttare via i valori costitutivi della sinistra, non ad una resa dei conti con la Costituzione usata come un fucile.

1 Comment

  1. vincenzo ha detto:

    Caro Roberto, la tua analisi è convincente; osservo solo che è terminologicamente scorretto parlare di riforma: questa sottoposta a referendum è una controriforma vera e propria che mina alla radice ogni istanza federalista tradendo lo spirito dei padri costituenti. Che vinca il si o il no dal 5 dicembre per il PD si pone il problema del ritorno alla carta dei valori con un congresso che cambi il gruppo dirigente: la vittoria del No favorirebbe certamente tale processo, come tu dici, ma anche con la vittoria del SI non darei per estinto il PD.