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Grazie Agostino, per il tuo sorriso pieno di gioia e di vita

Era partito da lontano. Palermo, profondo sud, figlio di un dipendente dell’Assemblea siciliana e di una casalinga. Poi i genitori si erano trasferiti a Roma quando lui era dodicenne. Qualche sorso di capitale, il diploma di scuola superiore ed era già ora di
ripartire. Per sua scelta. Questa volta Torino, meta passata di molti migranti che cercavano fortuna nell’industria dell’auto. Lui no, si adattò come custode in un museo mentre iniziava – alla chetichella – l’esperienza universitaria. A Trento ci arrivò nella stesse veste, questa volta all’archivio di Stato. Fu solo dopo qualche traversia che decise di tuffarsi a capofitto nello studio. Finì a 38 anni Giurisprudenza, iniziata e conclusa all’Università di Torino, con una tesi di diritto regionale: "Le ragioni della specialità della Provincia di Trento". Una svolta, seppure il ruolo fosse l’ultimo dei suoi assilli, che lo condusse alla carriera forense dove mosse i primi passi nello studio di
Ottorino Bressanini ("Per me è stato un maestro, mi ha insegnato molto di ciò che so" ricordava con affetto).

Ma accanto alle scartoffie del giuslavorista, che alla fine aveva scelto come specializzazione per dare concretezza al suo afflato verso i deboli della società (anche per conto della Cgil), Agostino amava la politica e la sentiva come una seconda pelle. Quasi un’immedesimazione. Nel 1997 s’iscrisse a Rifondazione comunista, due anni più
tardi era già segretario. Alle elezioni provinciali del 2003 il balzo in consiglio provinciale (2,82%, 7.891 voti). Alle sedute del consiglio arrivava con mise impeccabile, rigorosamente di velluto. Dopo due ore la camicia era irrimediabilmente sgualcita, la giacca addobbata di candidi fiocchi di cenere che lui si soffiava addosso nell’atto di succhiare la sigaretta. Era battagliero e polemista, aveva l’ironia affilata come la lama di un coltello. Un giullare irriverente divenuto ben presto il beniamino di tutti per la sua simpatia e la capacità di fare squadra. Anche con quelli lontani, ideologicamente parlando, da lui. Si era circondato di giovani nel gruppo consiliare e faceva quello che può fare un consigliere da solo. Diritti civili, immigrati, via l’obbligo di residenza pluriennale per avere un alloggio Itea. Avversò anche la riforma istituzionale dove si ritrovò sulla barricata opposta al suo mentore, Bressanini. "Mi sembra che il progetto sia in contraddizione con quanto affermato dalla sinistra in questi anni. Faccio i miei complimenti al presidente Dellai: hanno spinto un assessore dei Ds a realizzare il disegno della Margherita. Una trovata geniale" commentò caustico.

Nei corridoi di piazza Dante persino i suoi colleghi spesso gli domandavano lumi su questo o quel tema giusto per avere di risposta una battuta sferzante. E giù risate. Quando ricorreva l’ostruzionismo, noi cronisti di politica stavamo lì a intercettare
l’ultima mediazione che serviva a ritirare un po’ di emendamenti. Poi via su in redazione a scrivere e di nuovo giù, dopo mezzanotte, a curiosare tra i sopravvissuti. Capitava allora di trovare Agostino di fianco all’usciere, proprio all’ingresso, a fumarsi la centesima sigaretta. "Ehi ma non sei ancora andato a casa a dormire tu che puoi? Qui è una pizza…".

Nel 2008 le cose cambiarono. La sinistra radicale collassò a livello nazionale – tuttavia Agostino ebbe un ottimo successo personale nel collegio senatoriale di Trento che costò il posto al candidato dell’Unione, Mauro Betta -, un preludio al voto delle provinciali di novembre. Solo l’1,16%. Una sconfitta che, con la spaccatura di
Rifondazione, Agostino somatizzò. Quattro mesi dopo era già a lottare contro la
leucemia ("In questo momento io sono il quadro della sinistra in Italia: analisi tutte sballate e ridotto a quattro cellule impazzite" diceva di se stesso con ineguagliabile ironia) in una camera isolata del nosocomio bolzanino. A casa sua, nell’ampio salotto, lo vidi commosso fino alle lacrime mentre mi leggeva le lettere che gli operai gli scrivevano dalle fabbriche. Vinse la battaglia dopo cicli di chemio e il trapianto di midollo.

Ripartì rilanciando il suo studio legale, sempre dalla parte dei lavoratori. Tre anni abbastanza sereni immersi nell’affetto familiare. Poi a settembre la ricaduta. Due settimane fa espressi a Rita, suo angelo custode, il desiderio di salutarlo. All’ospedale San Maurizio, reparto di ematologia, lo vidi provato, ma sempre positivo, ottimista, generoso e preoccupato, non per sé, ma per le sorti dei vinti. Perché Agostino era uno che sapeva ascoltare, che ricordava i momenti di vita condivisi ("E allora cosa mi racconti del tuo amato Oriente?"), inestricabilmente legato alla vita. "Ago sei ancora un sostenitore di Vendola?". "Certo, lo stimo tantissimo. E’ una persona che sa parlare al cuore della sinistra". Quando era entrato il medico le parti si erano quasi invertite. "Come sta signor Catalano?" disse titubante il camice bianco tenendosi le mani. "Molto bene, la ringrazio!" rispose Agostino. Appena uscito dall’ospedale mi riferì che era sua intenzione leggere tutti i libri di Elias Canetti. Era orgoglioso di avere trascorso la Pasqua nella sua Palermo ("E’ una città di grande vitalità. Ha una metà oscura e una metà di luce") e di averla fatta conoscere alle sue figlie. Hanno pianto anche i medici e le infermiere quando se ne è andato. Insieme alla moglie Rita, alle figlie Paola, Erica e
Lorena, all’ex compagna Giovanna e al figlio Nicola.

Non amava i piagnistei, non si arrabbiava, il suo viso era la mezza luna che affiorava immancabile nel suo sorriso. Era un casinista che ha portato scompiglio ovunque si è posato. Ciao Agostino, ti ricambiamo con un sorriso pieno di gioia e di vita. La stessa che tu hai amato fino all’ultimo senza mai lamentarti di nulla.

1 Comment

  1. rob ha detto:

    Un grande articolo, grazie di averlo condiviso.