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Genova, non è la pioggia ad averla ridotta così…

“”>(13 ottobre 2014) Fra le citt&agrave

2 Comments

  1. e.b. ha detto:

    Caro Michele, ti ricordi quando commentavamo su “Solidarietà” il piano di “riconversione ecologica dell’economia” di Legambiente? Era il 1994.
    L’idea ecologica è diventata comune, forse non altrettanto i comportamenti dei cittadini, men che meno le decisioni politiche degli amministratori.
    Vediamo città soffocate dai rifiuti,nonostante il decreto Ronchi; fiumi incapsulati e coste cementificate, nonostante la legge Merli; si verificano crolli, esondazioni e inondazioni, con vittime e danni materiali ingenti.
    Sembra non esserci rimedio, è come se la tribù stanziale, costruttrice di città, fosse stata travolta dalle tribù nomadi dei flussi ( per dirla con Bonomi).
    Eppure, molte analisi convergono nell’idea che un progetto di manutenzione straordinaria del paese, con tutto il contorno interdisciplinare di attività settori e ricerca coinvolti, potrebbe rappresentare la chiave di volta per una robusta ripresa della crescita.
    Una crescita diversamente fondata, un’endogena crescita interiore, spirituale e culturale prima che materiale, basata sulla conoscenza di sé come paese, come territorio, come paesaggio, una riscoperta del piacere della consonanza con il “genius loci” dell’Italia.
    Perché questo non avviene? Questione di risorse, si dice. Sarà pur vero, in parte, ma soprattutto manca la selettività della decisione politica, vedi lo “sblocca Italia” in discussione in questi giorni in parlamento.
    E noi stiamo partendo per Roma, dove la CGIL chiederà di tutto e di più, incapace di privilegiare un obiettivo strategico di politica del territorio, sul quale concentrare le residue energie – e le risorse – di un paese così pericolosamente confuso. Ciao.

  2. Michele ha detto:

    Mi ricordo, eccome. E non posso che essere perfettamente d’accordo con te. E’ questo il cambio, mentre invece il dibattito politico si divide fra due impostazioni che sono entrambe figlie della medesima cultura “sviluppista” che non sa fare i conti con il concetto di limite.