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Fusioni e comunità, gli effetti della controriforma

“La maledizione di vivere in tempi interessanti‘ (19)

di Michele Nardelli

(9 giugno 2015) So di andare controcorrente ma questo non sarebbe una novità. Questa volta ancor più di altre, mettiamola allora così. Di che cosa sto parlando? Mi riferisco al referendum tenutosi domenica scorsa in 55 Comuni del Trentino che ha portato a 15 fusioni. Solo 4 municipi hanno espresso un voto contrario, peraltro con motivazioni – diciamo così – non sempre apprezzabili. Per il resto si è trattato di un plebiscito a favore delle fusioni, con grande soddisfazione della politica provinciale.

Personalmente leggo questo voto popolare a favore delle fusioni come l’ultimo colpo portato all’affossamento della riforma istituzionale varata dalla Provincia nel 2006, un disegno di cambiamento profondo nella dislocazione dei poteri a favore dei territori, abolendo i Comprensori e dando vita alle Comunità di Valle, organismi ad elezione diretta e dunque dotati di autorevolezza politica verso i quali si sarebbe dovuta attuare una cessione di sovranità tanto da parte della Provincia quanto da parte dei Comuni.

Nel corso degli anni, contro quella riforma (la LP 3/2006) si è scatenata un’opposizione trasversale, tanto sul piano politico quanto su quello degli apparati amministrativi. Non c’era solo la Lega, che raccolse le firme per andare ad un referendum sostenuto anche dal centrodestra ma andato deserto. C’era il Patt, che sin dal primo momento aveva visto nella riforma una strada che avrebbe rafforzato in senso politico l’azione sul territorio e di conseguenza indebolito il proprio rapporto con i piccoli comuni. C’era una parte del PD del Trentino che, pur votandola, aveva visto questa riforma come un’operazione “dellaiana“ alla quale avrebbe preferito una riduzione secca dei Comuni, incapace di comprendere il valore dell’autogoverno locale come una delle componenti dell’anomalia realizzata in questa terra dopo la fine della prima repubblica. C’era una sempre maggiore debolezza della politica, subalterna al vento dell’antipolitica che andava bollando ogni dimensione istituzionale come un inutile e costoso carrozzone. E c’era quello che Gramsci indicava a suo tempo come il “sovversivismo dall’alto“, ovvero le resistenze al cambiamento degli apparati, in questo caso sia al livello provinciale che comunale. Quel “sovversivismo“ che abbiamo visto in azione già nel corso della passata legislatura quando si è affrontato il piano di riorganizzazione della struttura provinciale, di fronte al taglio dei dipartimenti e dei dirigenti o nell’immaginare il trasferimento di funzioni sul territorio. Poi semplicemente naufragato.

Certo, non sono mancate le contraddizioni nel percorso di istituzione delle Comunità, prima fra tutte quella di pensare che fosse sufficiente l’approvazione di una legge e un certo dirigismo per mettere in discussione poteri consolidati, approcci culturali, pratiche diffuse. Aggiungiamo gli errori compiuti nel dimensionamento di alcune Comunità, nel considerare le Comunità come l’istituzione di ripiego per sistemare un po’ di caselle nei partiti, la fatica nel far emergere nuove classi dirigenti sui territori e, infine, l’insorgere di un’opinione sfavorevole per effetto del clima generale (e di una parte dei media che soffiava sul fuoco) ed è stato un gioco da ragazzi farla saltare.

Con la decisione assunta nel corso di questa legislatura di togliere di mezzo l’elezione diretta delle Comunità di Valle (cosa totalmente assente nel programma del centrosinistra autonomista e del presidente Ugo Rossi) si è dato un colpo mortale alle Comunità di Valle, delegittimandole. E, a seguire, con una politica di incentivo verso la fusione dei Comuni, una scelta che di per sé potrebbe sembrare innocua, quasi naturale in tempi di spending review ma che così non è affatto, per ottenere lo svuotamento non dichiarato delle Comunità.

Che questa operazione sia passata con un consenso ampio e trasversale ci racconta di quanto vuoto di memoria vi sia in questo passaggio della politica trentina, parte di quell’assalto all’anomalia di cui abbiamo parlato nei mesi scorsi.

Una riprova? La fine di una delle esperienze più importanti nel percorso delle Comunità, come quella della Valle dei Laghi, con il benservito dato alla figura che più di altri ne era stata protagonista, il presidente Luca Sommadossi che, proprio oggi, ha annunciato il ritiro della sua candidatura per la sopravvenuta sfiducia di alcuni sindaci. Nella sua lettera di dimissioni che trovate in questa home page c’è tutta l’amarezza per un percorso avviato ed interrotto a metà, che personalmente leggo come l’esito dal nuovo corso.

2 Comments

  1. Pippo Oggiano ha detto:

    Caro Michele dopo dieci giorni passati a ricercare le mie radici in quel di Ostuni mi sono ritrovato nella posta a Padergnone l’invito per andare a votare. Ti dico la verità, inizialmente ho pensato di non presentarmi al seggio per contribuire al mancato quorum poi però ho deciso di andare e votare NO.
    Da quello che scrivi vedo che le mie perplessità su tutta la vicenda coincidono… Alla mia età sentirsi ancora in grado di scegliere una posizione pur discutibile sono soddisfazioni!
    Ciao

  2. stefano fait ha detto:

    1. Non mi è piaciuta per niente la demonizzazione da parte dei quotidiani locali delle ragioni contrarie alla fusione. Un conto è contestarle, un altro conto è trasmettere ai lettori il messaggio che non sono degne di considerazione (in blocco, come se non ci fosse stata una varietà di posizioni e argomentazioni);
    2. Per me le fusioni non seppelliscono le comunità di valle: una diversa maggioranza al governo potrebbe recuperarle, riconvertendole. E’ comunque vero che se i media si schierano contro il percorso è estremamente in salita. La gente fatica a capire che un’autentica democrazia non può sussistere laddove l’informazione è massicciamente orientata in una certa direzione. Un cittadino non-informato o disinformato non assolve i suoi compiti e non può esercitare i suoi diritti.
    La democrazia è una bella idea ma non si è ancora vista in giro.