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Fano e Senigallia, antiche città marchigiane dove sono stato nei giorni scorsi per presentare il libro-guida “Scoprire i Balcani”. A guardar bene un pretesto per parlare di Europa, della necessità di scollinare il Novecento e di comprendere questo tempo.

Già da qualche anno insieme a Roberta Biaggerelli, la mia amica “attora” che alla tragedia di là del mare ha ispirato una parte importante della sua attività professionale, portiamo in giro una sorta di “racconto balcanico” ogni volta diverso, una conversazione accompagnata dal rito della “bosanska kafa”, il caffè bosniaco che aiuta a guardarti dentro e oltre, nel condividere il presente ma anche ad alzare lo sguardo sui segni del tempo.

Anche questa volta è così. Al Caffè Dardeni di Fano, gestito con maestria da due ragazzi originari di Stolac, accade qualcosa di speciale. Conoscono Roberta per il suo impegno nella solidarietà come nel lavoro di testimonianza verso le vicende che alla fine del secolo scorso hanno devastato il cuore balcanico dell’Europa. Sono curiosi nei miei confronti, nel sentire come un “estraneo” possa raccontare quella loro storia come la propria storia di cittadino europeo.

C’è tanta gente, molti i bosniaci. La lettura del testo di cui Paolo Rumiz ci ha fatto dono e il mio narrare sono fluenti e raccolgo nello sguardo dei presenti insieme stupore e gratitudine per un racconto “europeo e mediterraneo”, come si trattasse di una chiave di lettura del Novecento che propone loro uno sguardo diverso, per molti dei presenti inedito.

Il testo di Rumiz (lo trovate nella prima pagina di questo blog) è un omaggio al paese che non c’è più e che si scrive con una “ex” davanti. C’è un po’ di nostalgia nelle affascinanti suggestioni che ci propone ma che il viaggiatore attento ancora può ritrovare. E Roberta lo interpreta da par suo, musa di ciascuna di queste creature.

Per parte mia, provo a riflettere sui passaggi della storia e sugli intrecci di cultura che hanno fatto l’Europa, della scarsa consapevolezza che ne abbiamo anche grazie alle cesure di chi ha voluto cancellarne capitoli interi, di quel che (non) abbiamo imparato di un Novecento che pure nasce e muore a Sarajevo, del significato pregno di modernità di quel decennio dove nel cuore dell’Europa e in nome dello scontro di civiltà sono riapparsi i campi di concentramento, dove la fine del comunismo ha preparato il terreno ad un feroce turbocapitalismo. Che non abbiamo saputo o voluto vedere, tanto da volgere lo sguardo altrove. Magari pensando che non ci riguardasse, senza comprendere che quelle bombe incendiarie sulla Vjesnica (la biblioteca nazionale di Sarajevo) volevano colpire l’Europa.

L’attenzione è fortissima, ma la cosa che forse più mi emoziona è il veder riconoscersi nelle mie parole delle persone che quel decennio l’hanno vissuto sulla loro pelle. Nell’emozione avverto anche una grande leggerezza. Quel che si svolge al Caffé Dardeni è un atto d’amore verso l’Europa e il suo cuore balcanico. E il libro-guida che qui presentiamo di questa leggerezza ne è buona testimonianza, come i suoni e i sapori che immancabilmente accompagnano la fine del nostro incontro. 

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