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Darsi il tempo: per che cosa?

Da Missione Oggi, rivista mensile dei missionari saveriani, una recensione del libro di Mauro Cereghini e Michele Nardelli

di Maria Teresa Cobelli

Korogocho. Seduti attorno ad un tavolo scambiamo due chiacchiere con giovani universitari che vorrebbero valutare l’impatto della cooperazione internazionale sulla vita della baraccopoli. Il padre, che ci ospita, ascolta e ad un tratto esce con una frase lapidaria: “La cooperazione è voler andare a risolvere i problemi degli altri per non occuparci di quelli di casa nostra!”. Magari un po’ brutale, ma come dargli torto, soprattutto nell’Italia di oggi?

È proprio su questo aspetto della critica al sistema degli aiuti allo “sviluppo” che si incentra il libro Darsi il tempo, di Cereghini e Nardelli. (…)

http://www.saverianibrescia.com/missione_oggi_stampa.php?centro_missionario=notizie&notizia=darsi_il_tempo_per_che_cosa&id_n=134

Partendo anche da esperienze personali, vissute in particolare nei Balcani, i due autori invitano ad effettuare un salto di paradigma culturale e politico per superare i limiti e le ambiguità di una cooperazione basata sulla logica dell’aiuto e del trasferimento “a chi è rimasto indietro”, di un aiuto che presuppone che lo sviluppo sia un problema da risolvere altrove, quando oramai i concetti di sviluppo e sottosviluppo, di Nord e di Sud, di ricchezza e povertà sono diventati a-geografici ed attraversano tutte le società.

Chi analizza con onestà intellettuale il fenomeno della cooperazione internazionale non può che concordare con l’analisi fatta nella prima parte del libro, che stigmatizza i caratteri di quella che Marco Deriu definisce “la faccia più subdola della colonizzazione”: paternalismo, assistenzialismo, invasività giustificata dalla autolegittimazione, insostenibilità, inefficacia – quando non produzione di impoverimento -,  semplificazione eccessiva di realtà complesse, frammentazione legata alla natura stessa dei progetti, prevalenza della tecnica sulla politica, asimmetria.  L’interesse del libro risiede soprattutto nel tentativo di proporre delle alternative, delle “tracce verso un’altra cooperazione”, che gli autori riassumono nella formula della “cooperazione di comunità”, ispirata all’esperienza da loro vissuta nel progetto Prijedor, tra il Trentino e la seconda città dell’entità serba in Bosnia ed Erzegovina, che ha visto scendere in campo da una parte e dall’altra una moltitudine di soggetti pubblici e privati il cui profilo non corrisponde necessariamente a quello classico degli esperti di cooperazione: associazioni, gruppi giovanili, organizzazioni di categoria, contadini, insegnanti, giornalisti, amministratori locali, servizi sociali, musei e così via. In questa esperienza, ciò che è stato messo in comune è stata soprattutto la voglia di stabilire relazioni reciprocamente interessanti, di conoscersi, di parlarsi, di trovare insieme soluzioni innovative a partire dal confronto dei saperi e delle storie locali, attraverso un percorso di cui nessuno sapeva a priori dove dovesse portare, ma che proprio per questo suo carattere di libertà  e di comune ricerca  non condizionata da  mete e scadenze definite dai donatori ha potuto dar luogo ad una serie variegata di iniziative di tipo economico, sociale, culturale e politico, con ricadute da entrambe le parti. Il rapporto prospettato nella cooperazione di comunità è, infatti, caratterizzato dalla reciprocità, nel senso che non si tratta tanto di aiutare chi è in ritardo, ma di mettere in relazione delle realtà ugualmente percorse da problemi e da contraddizioni. In tal senso, “l’intervento in casa d’altri si legittima perché i soggetti coinvolti sono al contempo impegnati nel capire e nel trasformare il proprio territorio”: è il superamento dell’asimmetria che caratterizza la maggior parte degli interventi di cooperazione, anche di quella delle Ong che, pur facendo un’analisi politica del fenomeno del cosiddetto sottosviluppo e dei temi internazionali ad esso connessi, non sempre li saldano con quelli di politica interna. Basta vedere che cosa succede in Italia sulle questioni immigrazione e sicurezza: i soggetti che si sono espressi con maggior vigore non sono quelli impegnati nel campo della cooperazione internazionale. Andiamo in casa d’altri a favorire il rafforzamento istituzionale delle organizzazioni sindacali urbane e rurali, ma la nostra voce è fievole di fronte allo scandalo della negazione dei diritti umani più elementari agli immigrati in casa nostra.  L’eccesso di tecnicismo e di specializzazione ci ha fatto perdere di vista il quadro globale con le sue reali coordinate politiche. In questo senso, Darsi il tempo è insieme una provocazione ed uno stimolo ad un ripensamento del nostro modo di essere cittadini del mondo.

Mauro Cereghini – Michele Nardelli

Darsi il tempo

Idee e pratiche per un’altra cooperazione internazionale

EMI, Bologna 2008

pp. 224, € 13,00

presso:

libreria@saveriani.bs.it

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