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Cooperazione internazionale: nuova legge, vecchi sguardi

Si comincia con il lessico, che prova a superare vecchi concetti come paesi in via di sviluppo – con un’eccezione nell’articolo 1, forse una svista – o aiuto, introducendone di nuovi quali partenariato e interdipendenza. Di contro, però, le forme concrete dell’intervento ripropongono le classiche distinzioni in cooperazione bilaterale, multilaterale etc… e sottintendono uno scontato approccio progetto-centrico fatto di donatori, beneficiari e trasferimenti di beni e risorse dai primi ai secondi. Nulla di nuovo, insomma, sebbene da vent’anni almeno l’esperienza mostri come la sola logica del progetto sia limitata e inadeguata a promuovere cambiamento duraturo, rischiando di portare dritta ai progettifici. Slogan a parte, non ci sono previsioni operative nuove per sostenere processi di partnership di lunga durata, scambi di esperienze tra istituzioni omologhe, tavoli regionali di coordinamento o altre forme possibili di interazione paritaria sganciata dall’aiuto. Viviamo nel tempo dell’interdipendenza, ma pensiamo e agiamo la cooperazione ancora come un flusso unidirezionale verso il (povero) sud del mondo…

Allo stesso modo sulla carta sono interessanti gli sforzi di snellire e sburocratizzare la cooperazione, creando un’Agenzia ad hoc, e di coordinare i diversi attori, con un viceministro alla cooperazione, un Comitato interministeriale e un Consiglio nazionale aperto ad enti locali, organismi non governativi e mondo profit. D’altra parte si moltiplicano le istituzioni coinvolte: oltre al Ministero degli esteri e alla neonata Agenzia, già tra loro ad alto rischio di dualismo, acquistano o mantengono una qualche competenza sulla cooperazione il Ministero dell’economia, la Protezione civile e perfino la Cassa depositi e prestiti. Amministrazioni, regole e stili di lavoro diversi tra loro, destinati con molta probabilità a tradursi in ulteriori lentezze, incoerenze e inciampi procedurali.

Sul vascello della riforma sono stati caricati principi nobili, come il richiamo alla coerenza tra le diverse politiche pubbliche, che dovrebbe vincolare alla tutela dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile anche altri ministeri, come Sviluppo economico o Difesa. Oppure il coinvolgimento delle comunità di migranti nell’ottica di politiche migratorie condivise coi paesi d’origine. O ancora l’impegno a utilizzare beni e servizi prodotti nei paesi di intervento anziché importati. A nessuno di questi principi però viene dato un valore cogente, né si prevedono strumenti operativi per implementarli. Viceversa la legge regola in forma minuziosa questioni di mera amministrazione, come le procedure per reclutare il personale dell’Agenzia o per fissare i compensi dei cooperanti all’estero, fino a prevedere un quanto mai improbabile contratto collettivo nazionale ad hoc!

Ancora: la riforma parla ambiziosamente di un “sistema della cooperazione italiana allo sviluppo costituito da soggetti pubblici e privati […] sulla base del principio di sussidiariet&agrave

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