Boccone avvelenato?
9 Novembre 2011Stato della finanza d’impresa e proposte d’intervento
16 Novembre 2011Lo dico perché i nodi di un mondo impazzito stanno venendo al pettine uno dopo l’altro senza che questi destino la necessaria attenzione. Crisi ecologica, crisi finanziaria, crisi politica e morale dovrebbero indurci alla riflessione su quel che stiamo confezionando per le generazioni a venire, eppure ho la sensazione che ci sia una diffusa incapacità di mettere a fuoco gli avvenimenti, preferendo come al solito rincorrere le emergenze quasi che si trattasse di contingenze del tutto casuali.
Eppure quel che accade – non solo in Italia, per la verità – è così grave che non possiamo permetterci uno sguardo distratto, incapace di legare una crisi all’altra, tanto meno pensare che possiamo affrontarle nella logica del "si salvi chi può". Ciò nonostante faticano ad emergere narrazioni all’altezza delle trasformazioni in atto su scala globale ed un progetto culturale e sociale realmente alternativo alle ragioni che hanno fatto precipitare questo nostro tempo (e questo nostro paese) in una crisi forse senza precedenti.
Provo a metterli in fila questi nodi.
1. Sette miliardi di esseri umani
Vorrei partire da un fatto che è scivolato via senza destare particolare attenzione: la notizia che in una delle megalopoli che tratteggiano l’insostenibilità del nostro presente, Manila, è venuta alla luce Danica, il sette miliardesimo essere umano del pianeta Terra. Evento peraltro subito contestato da chi rivendicava altrove tale primato. Quest’ultima contesa ci racconta di come un avvenimento che dovrebbe farci meditare sia stato dai più considerato come un fatto di cronaca che un segnale per molti versi paradigmatico. Che la popolazione della Terra si stia moltiplicando in misura esponenziale tanto da prevedere il raggiungimento dei 9 miliardi di esseri umani nel 2030 (cioè domani) – soglia considerata quale limite sul piano delle potenzialità di approvvigionamento alimentare del pianeta – non sembra affatto turbare le coscienze anestetizzate dal mito della crescita. Eppure per far posto a ciascuno di questi sette miliardi di cittadini è necessario che tutti facciamo un passo indietro.
2. Il clima è fuori dai gangheri
Piove e fa caldo. In poche ore di intensa pioggia, territori caricati all’inverosimile si trasformano in fiumi di fango e morte, in una lunga sequenza di tragedie annunciate. Che "il clima sia fuori dai gangheri" – per usare la bella espressione di Gianfranco Bettin – e stia cambiando ad una velocità senza precedenti, lo riconoscono tutti ma poi prevalgono l’incuria e l’interesse privato. Ad essere a rischio – oltre al nostro Bel Paese immerso nel dissesto idrogeologico – sono i ghiacciai alpini, i poli che si stanno drammaticamente assottigliando, ma anche molte delle specie viventi se consideriamo che nell’arco di pochi anni il 71% delle specie di farfalle sono scomparse, il 54% delle specie di uccelli, il 28% delle piante. Chissà se Danica non racconterà ai propri figli una favola che inizierà con un "C’erano una volta le tigri e i leoni…"?
3. L’ossessione
Anziché interrogarsi su dove stiamo portando il pianeta, i fari si puntano paradossalmente sulla vera e propria ossessione di un’economia che non sa immaginarsi senza crescita quantitativa. Ovvero di quello sviluppo senza limiti che della crisi ecologica e dell’impoverimento del pianeta è la causa principale. Il panico è per l’andamento dei mercati, senza nemmeno accorgersi, o fingendo di non accorgersi, che il sistema finanziario globale è da tempo entrato in una spirale perversa, per cui l’economia reale confligge con una finanza che scommette sulla sua stessa crisi, sulla penuria e sui prezzi delle materie prime, sulle guerre che ne vengono, sulla disoccupazione, sull’andamento delle banche e dei titoli di stato emessi per salvarle dalla loro ingordigia speculativa (per questa operazione la Federal Reserve ha stanziato verso le banche statunitensi la modica somma di 16 trilioni – si scrive così 16.000.000.000.000 – di dollari).
4. Un modello che non crea ma distrugge valore
Proprio un modello economico e sociale che non s’interroga sulla propria insostenibilità (fra ricerca del guadagno senza lavoro, corsa ai consumi e proliferazione dei privilegi) ha prodotto un debito pubblico senza precedenti e che pesa come un macigno su ciascuno di noi. Che si è prodotto, contrariamente a quel che si vuol far credere, in una fase ben successiva a quella dell’intervento dello Stato nell’economia. Anzi, per dirla tutta, è balzato alle stelle proprio quando si è teorizzato il contrario, ovvero con gli anni ’80 e l’idea che di "politica economica" non si dovesse più sentir parlare. E’ stata la finanziarizzazione dell’economia la causa principale della spirale del debito, dovendo sostenere un sistema che produce sempre meno e non valorizza a dovere quello che ha di unico, la terra, l’ambiente, la biodiversità, la cultura.
5. L’onda lunga del pensiero unico
Del resto tutte le manovre che abbiamo conosciuto in questi anni partivano dall’idea che ci si trovava di fronte a crisi congiunturali, che dunque il problema fosse quello di far cassa in attesa di tempi migliori, non di mettere in atto riforme strutturali, come ad esempio la tassazione della rendita per ricondurre la finanza al servizio dell’economia, accanendosi di volta in volta sui redditi da lavoro dipendente, sulle pensioni e sullo stato sociale, oppure sulla finanza locale alla faccia del federalismo. Tant’è vero che anche nell’ultima manovra di bilancio, gli interventi riguardano ancora una volta le pensioni, i tagli alla finanza locale (compreso il non rispetto degli accordi di Milano per le province autonome di Trento e di Bolzano), la privatizzazione delle municipalizzate (quando solo cinque mesi fa con il voto referendario l’Italia si è espressa per la salvaguardia di un bene comune come l’acqua). Scontiamo su questo una mancata riflessione sulle ragioni della crisi finanziaria globale e, nonostante le evidenti responsabilità di un perverso sistema finanziario nell’averci condotti ad un esito tanto inquietante, prosegue la subalternità al pensiero unico e l’incapacità della politica di governare l’economia.
6. La crisi di visione
Scontiamo in altre parole la terza crisi, quella di una politica priva di visioni alternative. Perché "la fine della storia" (del Novecento e della contrapposizione ideologica che l’ha segnato) non ha prodotto nuovi pensieri bensì la degenerazione di quelli precedenti. La dittatura dei mercati (finanziari), la deregolazione dell’economia e dei rapporti internazionali, lo smarrirsi della cultura della responsabilità e dell’etica nei comportamenti, hanno favorito la nascita di fondamentalismi, di volta in volta fondati sulla "non negoziabilità" di sistemi di vita globalmente insostenibili, sullo "scontro di civiltà" e sulla paura. Ne è venuta una nuova corsa al controllo delle risorse (petrolio, acqua, terra…) e alla militarizzazione dei conflitti che inevitabilmente ne derivano. Ferma agli strumenti interpretativi del secolo passato, svuotata dall’antipolitica e pigra perché condizionata dai privilegi, la politica è diventata preda di un pragmatismo senza idee e di forme degenerative sul piano etico e morale. Dinamiche che riguardano, a ragion del vero, non solo i partiti ma l’insieme dei corpi intermedi e la stessa società civile.
7. Cambiare rotta
Così, anziché guardare la luna, si indica il dito. Dobbiamo dirci con molta onestà che l’ammonimento sui "limiti dello sviluppo" lanciato nell’ormai lontano 1972 dal Club di Roma è stato ampiamente superato dalla realtà. Allora quegli studiosi e scienziati provenienti da ogni parte del mondo vennero tacciati come catastrofisti. Erano realisti, invece, visionari come dovrebbero essere le persone che guardano con responsabilità al futuro piuttosto che al loro consenso. Credo davvero che, in assenza di un più che mai urgente cambio di prospettiva, se continueremo ad essere immersi nel delirio dello sviluppo e non impareremo la cultura del limite, non riusciremo a cambiare rotta.
Ripartire dalla terra (dall’economia vera), investire sul patrimonio straordinario che l’Italia ha sul piano dei beni ambientali e culturali, imparare la bellezza e l’eleganza della sobrietà, ovvero a fare meglio con meno, intrecciare le unicità con la fantasia, la ricerca e l’innovazione, smetterla di buttare miliardi nelle diseconomie delle spese militari, valorizzare i saperi e l’esperienza, piuttosto che la cultura della rottamazione. E guardare al passato con la distanza necessaria all’elaborazione piuttosto che alla rimozione di ciò che abbiamo prodotto.
Contestualmente all’incarico affidato a Mario Monti per ridare un po’ di credibilità a questo paese, mi piacerebbe che la politica sapesse mettere nella propria agenda (e in quella dell’azione governativa) almeno qualcuno di questi nodi di fondo.
15 Comments
Alberto mia invia come commento questa poesia di Pier Paolo Pasolini.
Alla mia nazione (1961)
Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
Grazie questa lettura fatta di lucidità e chiarezza. Vorrei solo aggiungere che una volta i governanti venivano cambiati faccendo riferimento alla religione o alla forza armata! In questi “avanzati tempi” invece si fa riferimento al mercato! In tutti i casi ai “popoli” viene offerto solo il ruolo di fare i patrioti, fare i sacrifici e fare gli spettatori…!
A risentirci.
Adel
Un bel programma di governo,di un buon governo. Troveremo mai gli uomini capaci di realizzarlo? Uno potrà essere Nardelli. Non è utopia (chi pensava avrebbe vinto Pisapia?). Ancora la gente pensa che non ci sia alternativa all’asfalto, all’automobile (sempre più assassina-800 pedoni all’anno schiacciati). Cultura cultura cultura: nella mia città (Bergamo)lingue d’asfalto hanno ripianato porfidi e sassi di vie storiche per “velocizzare”, “risparmiare”.Violenza inaudita, bisogna rivoltare questa “cultura”.
Un rapido commento a Michele, che sa essere oggetto da parte mia di un atteggiamento critico rispetto al suo operato, e perché, non trovando altri modi rapidi per esprimermi, questo è il primo che mi capita “sotto mano”.
Nel comprendere i “capitoli della crisi” elencati nel documento rilancio proponendo un livello di ragionamento che rovescia l’operatività dello sguardo e rilancia una opzione di implementazione concreta affinché le teorie, sempre corrette e degne, non si trasformino in astrattezza incommensurabili (nel senso di non misurabili, tangibili, incidenti con la realtà).
Il ragionamento che propongo parte da una assunzione di centralità della dimensione locale, non localista, e di prossimità legata alla vita e quotidianità che ogni persona interpreta e costruisce, in cooperazione (spesso contrastante e contrasta) con i propri vicini di vita. Quindi una dimensione che riporta le questioni “planetarie” come sempre tratteggiate da Michele come “prima interesse”, alla prossimità della nostra vita.
E nel parlare di prossimità, di scadimento morale (o etico), di questioni ambientali (modello di sviluppo) parto da una banale situazione che si è creata giusto ieri nel Circolo del PD di Riva del Garda. Il segretario locale impedisce la diffusione dei verbali del Direttivo per via telematica in una lista di distribuzione, in verità ultimamente non molto frequentata, unico punto di relazione attiva (se così voliamo dire) tra rappresentanti (locali) e rappresentati (locali). Questo ultimo episodio si somma ad una serie quasi infinita di “relazioni pericolose” tra corpo rappresentante e corpo rappresentato ampiamente raccontato, comunicato, segnalato, a livello provinciale e altrettanto ampiamente ignorato, deriso, minimizzato, da parte dei dirigenti e Consiglieri provinciali. Queste stesse persone che impediscono una banale diffusione informativa sono le stesse che interpretano il proprio ruolo in modo coercitivo, antidemocratico, sospettoso verso “l’altro”, anche su temi quali il golf nella “busa” come politica ambientale, la navigazione a motore nel Garda come promozione territoriale, la diffusione del modello insediativo a “marmellata” sul territorio alto gardesano, la realizzazione di una opera viabilistica che promuove la mobilità privata deprimendo e ignorando le sollecitazioni all’attivazione di gestione della mobilità come alternativa (meno costosa) del progetto di nuove opere. Queste alcune delle azioni di “prossimità” che ogni cittadino può misurare, verificare, confrontare, con la propria vita quotidiana e che si muovono sulle gambe e nella testa dei nostri rappresentanti, Michele compreso, è che vengono quotidianamente ignorate e ridicolizzate rispetto alla generalità dei problemi. Come contro altare, chiedendo allora come affrontare la cosmicità dei gravi problemi che ci attanagliano, la risposta è classicamente che i problemi sono così enormi che il povero politico nazionale o provinciale non è in grado di affrontarli perchè l’Europa, il mercato, la finanza, ecc… ecc…
Morale, e chiudo.
Fino a quando non potrò essere messo nelle condizioni di misurare nella mia personale prossimità la qualità della presenza di un politico, non avrò gli strumenti per capire se il politico (che costa e non poco) serve o non serve. Il politico, ne consegue, ha il dovere, di dimostrare le ragioni della propria “esistenza” (in quanto soggetto pubblico ovviamente), a partire dalla relazione di prossimità e dalle azioni incidenti nella mia quotidianità prima ancora di propormi cosmiche riflessioni sul destino del mondo (che è la composizione non lineare e scontata di tanti e singoli soggetti).
Detto in altri termini, caro Michele, rimboccati le maniche e produci azioni localmente e socialmente rilevabili, a partire dalle minime organizzazioni del tuo partito che è il soggetto intermedio che (ti ricordo) ti consente di svolgere il ruolo che attualmente svolgi.
un saluto a tutti
Ruggero
Caro Michele,
ho letto più volte la tua riflessione, la ritengo molto obiettiva e la condivido! E’ difficile da lontano farsi un’idea di quello che sta succedendo (in realtà da quello che sento mi pare che sia difficile anche da vicino) e il tuo commento mi pare un eccellente punto di partenza per riflettere.
La situazione è tutt’altro che facile e faccio molta fatica a vedere la luce alla fine del tunnel. Mi sento in una situazione di impotenza molto grande nel senso che mi chiedo: cosa posso fare io come soggetto? Posso cambiare la mia quotidianità, posso dialogare con le persone che mi stanno attorno, provocare dei piccoli cambiamenti nel mio intorno, ma adesso la crisi morale e di ideali è così forte che veramente se si analizza la situazione è facile cadere nel panico. Inoltre quello che manca in Italia, dal mio punto di vista, è la partecipazione dei giovani. Caspita, anche se vogliamo partecipare più attivamente, e non parlo solo di politica, siamo spesso tagliati fuori o ci tagliamo fuori da soli perché in un certo senso non ci sentiamo all’altezza! Quante volte mi sono sentita dire in Italia che sono troppo giovane per assumere certi tipi di responsabilità o di lavoro, e caspita… giovane!? ho più di 30 anni!!! Mi confronto tutti i giorni con la realtà Brasiliana dove invece i giovani sono molto più valorizzati sia in politica che professionalmente. Nel mio ambiente di lavoro io sono la “vecchietta”, figurati!
A volte penso di tornare, anche perché la realtà trentina si distacca da quella italiana e vedo delle aperture maggiori, ma io vorrei tornare sicura di poter dare un contributo alla mia terra, e questa sicurezza non ce l’ho affatto! Mi sento più utile ed adeguata facendo quello che faccio qui al momento, ma resta l’amarezza.
Ti ringrazio di nuovo per la condivisione della tua riflessione, la ho girata anche ad altri amici!
Buon lavoro e continua ad aggiornarci!
Monica
Leggo le parole di Ruggero e prendo al volo il telefono. Ci rimango quasi un’ora e se non ci chiariamo non è tanto perché la si pensa diversamente, né su quel che ho scritto a proposito del dopo Berlusconi, né sul mio lavoro che vedo conoscere in maniera piuttosto sommaria.
La questione di fondo fra noi è una sorta di pregiudizio verso “il politico”, l’idea che io possa fare il furbo. Per capirci che la stia mettendo in termini generali per eludere la prossimità dei problemi che investono la quotidianità, sul piano dei contenuti come dei comportamenti. Come se lo sguardo proposto oltre l’emergenza (nel mio scritto ma più in generale nella mia prassi politica) fosse un espediente per non prendere atto che le idee poi vanno veicolate nella quotidianità dei comportamenti e dell’agire politico. E questo, devo dire, un po’ mi amareggia.
Prendiamo un aspetto sul quale in questi mesi mi sono impegnato molto, quello dell’acqua come bene comune. Qui non c’è stata solo una scelta di fondo (peraltro niente affatto scontata, visto che la privatizzazione del servizio sul piano nazionale è stata perseguita in maniera trasversale agli schieramenti), ma la traduzione nel concreto di una realtà come quella trentina per garantire non solo la possibilità della gestione in house del servizio idrico (comunale, intercomunale e in zone omogenee delle comunità di valle) ma anche della ripubblicizzazione della gestione del servizio per quelle realtà che l’hanno affidata a Dolomiti Energia.
Parlare di cultura del limite, in questo caso, credo sia la necessaria cornice politico culturale in cui inserire il tema, ma questo approccio si traduce nella ricerca di strade concrete affinché l’acqua rimanga un bene della comunità. Scontiamo in questa traduzione glocale culture che si sono consolidate nel continuo oscillare ideologico fra lo stato e il mercato, il che ha comportato anche a sinistra l’idea che potesse essere il mercato (meglio sarebbe dire il sistema finanziario) lo strumento di autoregolazione. Agire collettivo, ruolo del singolo, nella sua solitudine.
Vorrei che nel mio modo di pensare e di agire, la prossimità non fosse un accidente, perché la considero il tutto, invece. Un tutto che si tiene nelle relazioni, vicine e lontane che siano. Purché siano vere.
Mi piace e scrivo 4 righe :Il berlusca ha avuto il consenso sì ma di 1/3 o metà di elettori perchè tu sai bene che i partiti attuano manovre per aumentare e perpetuare un blocco di potere e non ti faccio esempi. La politica deve mettere nell’agenda scelte strategiche, ma ora, dopo le carnevalate, in primis è utile rovistare nelle nostre scarselle per cavar fuori qualche zecchino.
Bene Michele!!
Avevo una gran voglia di sentire tutte queste cose, rimuginarle e proporle intorno a me.
Anzi, lo stavo per girare ai tre circoli delle Giudicarie ma mi pare ci sia un particolare (!) da correggere:
il bilione ha 12 zeri, il trilione ne ha 18 (se puoi correggere, ma controlla prima … e comunque sarebbe un errore ben perdonabile e quasi una patente di autenticità).
In più di mio ti aggiungo che, oltre al sospiro di sollievo per la “liberazione” del governo italiano, non dobbiamo trascurare taluni risvolti positivi del nuovo governo su fattori che tu ben conosci nei loro effetti sociali e anche strutturali (uso la parola “valori” per fare presto) nella direzione che vogliamo.
Le modificazioni di lungo periodo e globali, comprendono anche cambi di breve periodo e locali (vanto improprio, … me lo hai insegnato tu). Anche queste dobbiamo giudicare politicamente.
CIAO!!! ILaria
con affetto
Grazie Ilaria per il tuo rimando. Sul trilione, ci sono due diversi sistemi di rilevazione. Quello nostro, ed hai ragione tu. E quello anglosassone, ed ho ragione io. Siccome però nell’articolo di parla di dollari (e non di euro) della Federal Reserve ho preferito usare quello anglosassone. Per il resto, tutti noi ci sentiamo liberati da un peso diventato insopportabile. Ma devo dire in maniera altrettanto convinta che i problemi per noi inizieranno ora, nell’assenza di un disegno che porti i cittadini a riconsiderare il loro modo di vivere. Questa è la vera sfida, nella consapevolezza che il modello di sviluppo attuale non è più sostenibile da un pezzo. Questo però non lo vogliamo prendere in considerazione perché al nostro stile di vita, che peraltro genere infelicità, ci ostiniamo a non voler rinunciare.
Un abbraccio e grazie ancora.
Michele
Grazie Michele.
Spazi di pensiero necessari e utili per orientare, orientarsi e ricollocarsi.
Non è facile in un quotidiano che talvolta avvilisce e in cui è davvero difficile muoversi.
Io mi sono spostata di pochi chilometri e, devo dire, si avverte una differenza consistente.
Da qui e dalla prospettiva professionale in cui mi trovo riconosco una più esplicita misura della crisi.
Vista la gravità della situazione, non so se questo sia uno svantaggio… insomma mi pare che i fatti impongano riflessioni e scelte che forse nel nostro Trentino sembrano più lontane…
Concordo nel rilevare che l’euforia per la caduta di questo governo sia carica di contraddizioni. Era pur sempre un governo democraticamente eletto (seppure con una legge elettorale discutibile o meglio inaccettabile).
Non so cosa aspettarmi. Speriamo in questa sospensione che, se non altro, ci fa guardare in faccia ed ascoltare personalità di diverso calibro e comunque di solida formazione. Mi sento di esprimere rispetto per i nuovi rappresentanti del governo che si accingono ad un compito difficile.
In fondo però sento che anche questa soluzione allontana la Politica dal suo Compito e dal suo Ruolo.
Un caro saluto anche alla tua Gabriella!
Chiara
Ciao Michele.
Ho letto il tuo intervento. Qualche riflessione (molto meno articolata della tue e molto meno globale della tua).
Personalmente ho gioito e gioisco tuttora per la fine del governo Berlusconi. Per anni ho visto promosso la politica dei furbi, delle donne vendute (consapevolmente), dell’opportunismo, del paga il pubblico con i soldi dei lavoratori cioè gli unici soggetti a prelievo obbligatorio. Spero – magari dovrò constatare più avanti il contrario – di non sbagliarmi se mi aspetto l’inizio di un’altra via.
Temo non tanto la capacità di essere concreti del PD – ma nell’essere coerenti del PD. Per sostegno al partito, sul mio territorio finirò per dire sì all’inceneritore, alla tav/tac, a due sedi per la comunità di valle (ci mancavano uffici ????), a cinque-sei livelli amministrativi di gestione della cosa pubblica. Davvero non c’erano altre strade sulla differenziata? Davvero per creare mobilità intercontinentale su ferro dobbiamo dotarci della tav/tac? Ho l’impressione che molti del PD prima scelgano l’opera pubblica da assecondare e poi ne cerchino le ragioni…. Se noi continueremo a vedere il nostro piccolo con questi occhi, temo che non avremo gli occhi giusti per guardare il resto del mondo.
Per me i temi del nostro territorio sono due:
– il lavoro inteso come lavoro delle donne e il reddito dei lavoratori subordinati
– l’evasione e l’elusione fiscale.
Entrambi questi temi sono a mio giudizio strettamente legati con l’attuale modello di sviluppo economico.
Noi parliamo tanto di eguaglianza e di diritti ma le donne sono meno pagate degli uomini ed hanno minori opportunità di lavoro. In Trentino come nel resto d’Italia. Ci occupiamo dei lavoratori Whirpool: giusto. Ma è normale che la Pat debba acquistare gli immobili, debba finanziare l’attività di imprenditori per avere garantiti cinquanta posti di lavoro? Abbiamo fatto il calcolo di quanto costerebbe alla collettività spesare quei lavoratori, che ne so, a lavorare nel settore della raccolta differenziata dei rifiuti? Perché continuiamo a spesare questo modello di sviluppo economico?
Io lavoro ed ogni tanto mi domando, pur avendo un fortissimo senso civico, per quale motivo tra imposte dirette e imposte indirette io debba versare allo stato più del 50% del mio reddito fissato da un CCNL magari fermo da anni. In quanto lavoratore subordinato, appaio ricca e dunque pago tutti i servizi: a parte la scuola e il medico di base. Il resto è tutto a pagamento. Giusto. Ma fino a che punto?
Subisco senza poter nulla ogni imposta, tassa e tariffa che questo stato, regione, provincia… decidono di inventarsi. Subisco senza poter scegliere il quantum e subisco anche le scelte di chi quel quantum riceve e gestisce.
Di fatto, noi lavoratori subordinati paghiamo il rischio imprenditoriale che la classe politica ha deciso di prendersi. Purtroppo però la classe politica raramente tutela gli interessi della collettività ma il più delle volte tutela di interessi di parte. Fin qui potrei anche capire. Ma pago anche per tutti quelli che non pagano e qui mi va meno bene. Voglio poter dire che questo prelievo fiscale è largamente iniquo perché eccessivo ed anche inaccettabile per come viene destinato: per me non sono i costi della politica a far scandalo, ma le opere pubbliche nuove, il sostegno economico a questo sviluppo economico che non si mantiene più da solo, il fatto che con il prelievo fatto sui lavoratori si paghino la promozione del turismo a vantaggio di privati…. Perché dobbiamo iniettare risorse in questo modello di sviluppo? Perché non pensiamo invece di diminuire il prelievo fiscale, di fermare la costruzione di opere pubbliche faraoniche, di fermare l’acquisto di capannoni e fabbriche. Perché non pensiamo a creare lavoro, privato o pubblico poco m’importa, nei settori destinati alla manutenzione del territorio e del nostro patrimonio, a creare servizi ai cittadini. Eviteremo anche nuovo consumo del territorio. Perché non lavoriamo perché la rete ferroviaria sia più economica e più efficiente, che la raccolta differenziata raggiunga veri (e non edulcorati) valori superiori al 70-80%. Ci vuol tanto a trasformare i 50 lavoratori Whirpool in operatori ecologico-formatori, educatori alla separazione e al non consumo? Secondo me ci costerebbe meno che pagare la fabbrica perché li mantenga in servizio.
Ma i nostri occhi ormai vedono con il modello di sviluppo che ci ha portato, tra l’altro, ad avere 17 anni Berlusconi. C’è sempre un aiuto da dare, un’opera da fare, prima di pensare a cambiare il passo di una politica piegata al modello di sviluppo attuale. Quando raggiungeremo il giro di boa?
A presto
Norma
Ho letto il tuo articolo sulla newsletter del PDT e ne sono stato colpito. Vorrei farti i complimenti per la lucidità e la chiarezza. La tua riflessione, che non è improvvisata ma frutto di un evidente percorso intellettuale e politico, mette bene in luce i nodi davvero centrali per questo periodo storico.
Grazie per il tuo lavoro.
Mi auguro di avere qualche occasione di collaborazione con te su questi temi.
A presto.
g.
Ciao Michele,
seguo il tuo blog che offre continui spunti di riflessione come queste tue considerazioni sull’incertezza del futuro che molti di noi sentono e manifestano in modi diversi; sento molto vicino il tuo modo di vedere….è ”la cultura del limite” …il “non di meno ma meglio” che può farci avvicinare di più agli altri….
Grazie
Gianna(…under 30)
Intanto vorrei ringraziare tutti voi per i commenti a questa mia riflessione, la cui sintesi è stata ripresa anche dal quotidiano L’Adige nei giorni scorsi.
Credo vi sia un diffuso bisogno di indicare strade nuove, un cambio di paradigma che oggi non emerge nemmeno nel PD, ancorato com’è al mito della crescita. Lo dico soprattutto rivolgendomi a Norma la quale ha in buona sostanza ragione nel dire che, anche nel nostro piccolo, dovremo avere più coraggio ed essere conseguenti con le cose che pure scriviamo nelle leggi come negli atti politico amministrativi.
Faccio un solo esempio che riguarda il tema del lavoro che le sta a cuore: oggi manca un disegno capace di valorizzare le vocazioni del territorio, una politica economica che abbia radici nella cultura, nei saperi, nelle caratteristiche dell’agire umano di questa terra. Invece siamo ancora lì a sostenere la Whirpool, rimediando peraltro le figuracce che sappiamo. Acquistare un capannone industriale ci può anche stare, ma siamo sempre nel campo dell’emergenza. E l’emergenza ti porta regolarmente fuori strada. Ditemi voi che cosa centra l’acciaieria di Borgo Valsugana con un’idea di sviluppo sostenibile? Quell’insediamento e quei cento posti di lavoro rappresentano un tappo rispetto ad un altro modello che invece riguarda il sistema Lagorai… Ma per questo ci vuole il coraggio di fissare un obiettivo: entro dieci anni quella fabbrica deve sparire e al suo posto si mette al lavoro un progetto di riqualificazione dell’area fondato sull’acqua, sul turismo di qualità, sui percorsi ecologici attraverso una delle aree più belle del Trentino, sulla riscoperta di antiche vocazioni agricole e artigianali. Quei cento posti di lavoro potrebbero diventare molti di più, quel PIL riqualificarsi, quell’ambiente rigenerarsi, quella comunità crescere in coesione sociale… Certo occorre avere una visione che vada oltre… oltre le strade (ho mille dubbi sulla TAV, ma oggi almeno rappresenta un disegno alternativo alla follia dei camion che attraversano il nostro territorio e alla Pirubi), oltre la logica di insediamenti industriali che da un momento all’altro possono essere trasferiti in territori più convenienti, oltre la dittatura del PIL… Per questo serve una politica davvero capace di far proprio il paradigma territoriale. E forse il Trentino potrebbe rivelarsi ancora un incubatore di proposte originali.
Per questo credo che il mio e nostro attestarsi sul PD del Trentino sia semplicemente un passaggio verso qualcosa di diverso, una sorta di “messa in protezione delle idee” per una nuova soggettività politica insieme locale ed europea che però dobbiamo costruire sin d’ora, almeno sul piano delle idee. Avremo modo di parlarne.
Penso anche io che l’euforia iniziale debba lasciare spazio ad altri atteggiamenti… concordo sul fatto che B. ha governato così a lungo perchè ha avuto un largo consenso non solo da chi l’ha votato, ma ha avuto anche una specie di “consenso occulto” che farei rientrare in quella, che per altri personaggi, si chiama “teoria del dittatore debole”… la velocità con cui la cultura cambia e viene influenzata da ogni evento amplificato, veicolato e condizionato dal mezzo mediatico ci ha fatto perdere la capacità di analizzarlo e controllarlo. Infatti penso che in questo mondo lanciato ad “alta velocità” quello che manca è il tempo: per riflettere, per capire quello che veramente succede, per cogliere i segnali di allarme, per proiettare la soluzione nel futuro… e tutto così veloce tanto da sembrare immobile, ma di fatto non immutabile, lontano dallo sguardo attento che dovremmo avere, tutto si deteriora e si allontana dal proprio senso non essendoci più chi gli attribuisce significato…”