In ricordo di Šaban
7 Settembre 2010No alla lapidazione di Sakineh
9 Settembre 2010Io credo che la riforma delle Comunità sia un’occasione importante per l’Autonomia e anche per la partecipazione politica. Credo anche che questa riforma non sia ben vista da quei sindaci che non riescono o non vogliono vedere oltre il loro campanile, da quei consiglieri provinciali che temono di non essere più il riferimento della valle nei rapporti con la Provincia, di quegli assessori provinciali che temono la cessione di parte del loro potere e più in generale da quelle forze politiche, per lo più del centrodestra, che sono abituate alla politica populista e accentratrice di Berlusconi.
Una riforma non può accontentare tutti, poteva anche essere diversa o perfino migliore, ed è naturale che susciti una iniziale diffidenza. Ma il successo della riforma non è legato al testo di legge, dipende piuttosto dall’atteggiamento con il quale la si affronta.
Fino a pochi anni fa c’era effettivamente il rischio che la riforma istituzionale potesse essere vista come il tentativo politico di controllare meglio il territorio, oggi non è più così: non c’è più un partito che possa dettare legge, e nella coalizione vincente c’è equilibrio e pluralismo delle forze che la compongono; non ci sono volontà politiche di partiti che possono essere imposte sul territorio, perché ognuno è geloso della propria autonomia e perché l’elettorato ha dimostrato di essere libero scegliendo anche nelle ultime amministrative un deciso rinnovamento.
E’ vero che si parla molto del ruolo di regia dei partiti a livello provinciale, ma è un ruolo che è chiesto proprio dai territori che stentano in questa fase a trovare soluzioni condivise.
In ogni Comunità di valle il centrosinistra autonomista si è ritrovato a lavorare per l’idea di comunità, per un programma di governo e per la scelta delle persone che la possono guidare. Ci sono però le legittime aspettative di ogni componente ad assumere il ruolo guida e ci sono contrapposizioni a livello comunale che non sono state completamente superate nelle ultime elezioni. La coalizione è alla prima prova di coesione sul territorio e va accompagnata da una forte volontà politica. La stessa che è richiesta per far nascere le Comunità di valle.
Le Comunità non sono i Comprensori che funzionavano per deleghe provinciali, sono enti che hanno significative competenze e che richiedono un grande lavoro di costruzione con le amministrazioni comunali e con tutte le componenti economiche e sociali di ogni valle. Non è solo una riforma amministrativa, è la prima vera occasione di ridurre il peso enorme della Provincia e del suo governo a favore dei territori. Fino ad oggi tutte le scelte sono passate da piazza Dante, anche quelle a valenza locale, con le Comunità abbiamo la possibilità di rendere i territori protagonisti delle scelte del loro futuro. Passando dagli ambiti comunali alla dimensione più ampia delle valli, dove ha senso la gestione di molti servizi e dove è giusto collocare le scelte riguardanti la gestione del territorio, lo sviluppo economico e le politiche di cittadinanza.
I partiti sono chiamati a fare la loro parte, condividendo con le amministrazioni comunali gli obiettivi delle comunità, perché le comunità non nascono contro i comuni ma insieme ai comuni, e condividendo anche i candidati o le candidate a presidente delle comunità.
A dispetto dei pessimisti si stanno scegliendo persone che non provengono solo dai partiti e che non sono affatto imposte dai partiti, ma scelte a livello di comunità tra coloro che hanno la competenza e il consenso necessari e che comunque, ricordiamolo, saranno sottoposte al voto di tutti gli elettori.
Il voto disgiunto dalle elezioni comunali e troppo a ridosso delle stesse non favorisce la partecipazione né la disponibilità di potenziali amministratori, ma l’attenzione dei giornali e delle Tv sta recuperando il vistoso deficit di informazione e favorendo la partecipazione, anche di annunciate liste civiche che quasi sempre sono espressione di singole volontà di affermazione elettorale.
Molti non conoscono il nuovo ente e le sue competenze, comunicarlo può trasformare, attraverso la partecipazione, questa riforma in una opportunità per rendere le Comunità locali vere protagoniste.
1 Comment
In questi primi giorni di campagna elettorale le persone che mi incontrano, pressoché tutte, mi fanno due domande: ma servivano proprio queste Comunità di Valle? Potranno dare veramente risposte ai cittadini?
Confesso il mio imbarazzo a rispondere un sì o un no. Sono passati più di quindici anni da quando in un Convegno affermavo che si dovevano sopprimere i Comprensori, così distanti dalle persone che infatti mai li hanno seriamente considerati un ente cui rivolgersi per ottenere risposte ai bisogni, e che però, per gestire in modo efficiente ed efficace i servizi pubblici, 223 comuni erano decisamente troppi. Si trattava di un convegno organizzato da quelle stesse persone che lavorando con la gente e tra la gente hanno condotto alla nascita del comune unico di Ledro, la strada sicuramente migliore per tenere assieme il giusto rispetto delle identità culturali di ciascuna comunità e l’ottimale utilizzo delle risorse pubbliche.
Era già allora evidente, peraltro, che la strada principale della riduzione partecipata dei comuni non poteva essere l’unica da percorrere. Serviva trovare modi consortili di gestione dei servizi pubblici sovracomunali e di governo del territorio, per ottenere economie di scala e sottrarne la gestione ai particolarissimi (e quasi mai virtuosi) interessi di paese.
Pareva che le Comunità di Valle dovessero servire a questo. Ma, invece, nei loro primi mesi di vita appaiono sempre più dei Comprensori più piccoli. Se così fosse sarebbero un fallimento totale.
E c’è di più. Il rischio nell’eleggere l’ente intermedio a suffragio universale è quello di affidare ad esso una legittimazione popolare che pone in discussione quella dei Comuni e li esautora delle proprie competenze e poteri, svilendone così il ruolo e l’autonomia.
Si tratta di un disegno politico che va avanti da anni in Trentino e mira a spoliticizzare le autonomie comunali. I passaggi di questo disegno sono stati: a) l’abolizione della norma che prevedeva in Trentino il sistema elettivo proporzionale in tutti i comuni sopra i 1000 abitanti; tale sistema elettorale aveva avuto in molti luoghi il benefico effetto di togliere potere ai clan familiari e ai potentati economici locali; b) il rafforzamento dei poteri ai Sindaci, con l’investitura popolare diretta e con giunte di diretta emanazione degli stessi; si è portata all’eccesso così la personalizzazione della politica e delle scelte e si è svilito il dibattito, tanto da ridurre la partecipazione popolare (va ricordato che dopo che questa norma è stata introdotta, in quasi 60 comuni del Trentino è presente una sola lista elettorale ed è stata di fatto abolita la minoranza).
In questo quadro, le Comunità di Valle appaiono come l’ultimo tassello di un percorso di delegittimazione delle amministrazioni comunali. Invece di affrontare con lo strumento del Consorzio dei comuni la frammentarietà territoriale e la presenza di molti piccoli Comuni (quale necessario passaggio verso possibili unioni in entità più grandi e meglio organizzate), si è preferito impoverirli, delegando o cedendo titolarità alle Comunità di Valle.
Se questo è il quadro, è facile comprendere come dare risposte certe ai due quesiti che pongono le persone che incontro è veramente imbarazzante. Nonostante tutto, però, credo che le Comunità di Valle possano ancora essere un’occasione per fare sinergia tra i Comuni, senza svilirne il ruolo. Per fare ciò però debbono avverarsi due condizioni.
La prima è che si ridiscutano gli Statuti delle comunità, nati quasi sempre senza il coinvolgimento dei cittadini. E’ negli Statuti che possono trovare luogo importanti riconoscimenti di diritti civili dei cittadini e una chiara esplicazione di come si vuole il rapporto tra Comunità e Comuni. Oggi tutto questo è decisamente poco chiaro.
La seconda condizione è quella di poter rimettere in discussione anche gli stessi confini delle Comunità, perché possano tornare ad essere una gemma di possibile unificazione di Comuni vicini territorialmente e per interessi. E qui l’esempio della Comunità Rotaliana Königsberg è emblematico. Una realtà che appiccica ai territori della Rotaliana una realtà come quella di Lavis, attratta sempre più da consonanze di interessi con la città di Trento, come potrà divenire “sentita” dai suoi abitanti?
E’ per questo, tra molti dubbi, che come lista Civica di Sinistra abbiamo deciso di essere presenti alla competizione elettorale: anche solo riuscire ad inserire nel dibattito politico il seme del dubbio che questo modello di Comunità di Valle sia il migliore possibile, sarebbe già un successo per noi. Va da sé che ci aspettiamo anche di poter contribuire ad un’amministrazione dell’urbanistica che finisca di mangiare territorio e lavori per il recupero del patrimonio esistente, ad un’amministrazione che razionalizzi la rete commerciale di Comunità – senza nuovi centri commerciali – e sia alternativa al modello delle grandi opere (TAC/TAV, Metroland), ad un’amministrazione che in carenza di risorse economiche le destini ai bisogni sociali dei cittadini prima che a costosissime opere di grande impatto ambientale.
In conclusione, però, non posso non rappresentare un ultimo e fondamentale dubbio, che come cittadino prima che come candidato sottopongo alla politica provinciale. Un dubbio che dovrebbe preoccupare tutti, a destra come a sinistra. Con quale consapevolezza andiamo noi tutti a questa competizione elettorale, se non sono chiare nemmeno le modalità di finanziamento delle importanti materie attribuite alle Comunità? Il riferimento è, in primis, alla competenza del sociale.
Su questo la Provincia dovrebbe, a mio giudizio, fare uno sforzo straordinario di trasparenza, dando dati chiari e inequivocabili. Così, almeno su questa questione, i cittadini potrebbero andare alle urne sapendo che il loro voto può orientare la spesa delle future comunità verso i programmi delle liste in competizione. Chiedere un gesto di cieca fiducia anche su questa partita, mi sembra veramente troppo. Se la democrazia è partecipazione consapevole alle scelte collettive, il voto espresso sulla base di regole e contenuti chiari ne è il presupposto minimo.
Luciano Bocchi