Morto contromano disturbando il traffico
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3 Gennaio 2018Ora siamo anche formalmente in campagna elettorale, ma – a ben vedere – la campagna elettorale dura da tempo: fatta di elezioni vere e proprie (quelle per il rinnovo del Parlamento Europeo che impropriamente legittimarono Matteo Renzi nel suo “stai sereno”, il susseguirsi di elezioni amministrative e regionali, da ultime quelle per la Regione Sicilia), di referendum intenzionalmente plebiscitari, in un contesto dove anche le elezioni in altri paesi europei (e non solo) sono vissute come altrettante indicazioni di voto, di sondaggi settimanali per misurare gli umori elettorali, di riposizionamenti degli eletti per garantire nei vari passaggi nuove maggioranze (nel corso di questa legislatura – stando al Sole 24 ore – sono stati 566 i “cambi di casacca”).
Una movimentazione politica probabilmente senza precedenti che però è tutto fuorché effervescenza delle idee e del pensiero. E pur considerando il mandato imperativo come la negazione della politica, attento altresì a considerare con rispetto lo sforzo di qualche volenteroso nel cercare di introdurre anche in questo passaggio elettorale qualche elemento di intuizione politica (penso ad esempio all’esperienza di “Movimenta” nel dar vita alla lista “+Europa”), faccio sempre più fatica a riconoscermi in questo quadro politico.
Credo peraltro che quello elettorale rappresenti il terreno meno adatto alla sperimentazione politica. Come ho già avuto modo di scrivere anche recentemente su questo blog, considero gli escamotage elettorali e l’emergenza come i terreni meno propensi alla ricerca. Eppure lo sa il cielo di quanto bisogno ci sarebbe di nuovi pensieri e di nuova progettualità. Ma entrambi richiedono percorsi di elaborazione e di gestazione che ben poco hanno a che vedere con la frenesia dell’agenda politica.
Non vivo sulla luna e so bene che l’esito delle elezioni del 4 marzo prossimo ci riguarda tutti e tutte. Come so che l’Aventino, in assenza di questo paziente lavoro di ricostruzione di significati e di nuovi racconti, è destinato all’impotenza. Ma al tempo stesso non possiamo ogni volta farci prendere dalla paura per i cupi scenari che si profilano all’orizzonte, ai quali proprio una politica priva di curiosità e di pensiero ha aperto la strada. Andrò a votare e dirò di farlo, scegliendo dentro questo scenario quelle persone che qualche barlume di ragione e apertura a qualche nuova idea la possono esprimere anche dentro il Parlamento italiano.
Ma per me oggi la via maestra è un’altra. La scelta che con un pugno di amici abbiamo compiuto inoltrandoci nel “Viaggio nella solitudine della politica” prova a coniugare la necessità di uno spazio di astrazione per scandagliare senza affanno il passato per trarne qualche lezione e l’attenzione per tutto quel che cerca di indagare questo tempo e quello che verrà. Convinto che molto sia stato scritto, ma che molto di più sia ancora da scrivere.
L’augurio è che questo nuovo anno possa contenere il danno ed essere fertile sul piano della ricerca di nuovi paradigmi per leggere il presente ed immaginare il futuro. C’è molto da scrivere. (m.n.)
2 Comments
Ciao,
ho letto e riletto il tuo scritto del 1°.
Non credo di aver ben capito che intendi con quell’ “all’insegna di un’austerità insincera” attribuita ai governi Letta- Renzi- Gentiloni.
Poi, circa la situazione politica, da tempo ci vai comunicando un senso di estranietà, che sento come un po’ recriminante.
Mi viene allora in mente quella parola bantu, OBUNTU, che viene letta con due possibili accezioni di significato, come “benevolenza verso il prossimo” e come “io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”; cioè, quel che conta è l’intero, con tutto quel che ne consegue.
Ma qualche volta in passato abbiamo pur parlato di “azione parallela”; dunque, non sembrano incompatibili la scelta di un pugno di amici nel viaggio della solitudine e l’attenzione allo “sforzo di qualche volonteroso” per il prossimo passaggio elettorale: un nesso ci può essere ed anche una reciproca comunicazione.
Caro Edoardo, non ritengo affatto incompatibili il dedicarsi alla ricerca di nuovi paradigmi ed il provare ad abitare la politica che c’è, per quanto questa continui a riproporre chiavi interpretative e scelte che vanno in direzione contraria a quel che a mio avviso sarebbe necessario. Credo che cercare di tenere aperti gli spazi di pensiero critico nei partiti possa essere utile: non credo che il cambio di sguardo possa avvenire in un quadro desertificato. In questo senso sono attento allo “sforzo di qualche volenteroso” anche dentro il confronto elettorale. E questo a prescindere dal senso di estraneità verso le proposte sul tappeto, che ovviamente vivo con amarezza e solitudine. Quando insieme pensammo di far nostro il concetto di “azione parallela” mutuato da Robert Musil c’era proprio la consapevolezza del crepuscolo della politica (dell’impero nella versione del grande scrittore austriaco), rispetto al quale sarebbe bene non farsi travolgere. Voglio dire che c’è un tempo nel quale privilegiare il farsi carico, l’accompagnare, e un tempo per ridisegnare laddove occorre discontinuità. Ma capisco che lo stabilire in che tempo siamo sia molto soggettivo. Se penso alla nostra storia politica, se nell’89 ci fossimo attardati nel pensarci nella seconda versione di Obuntu che tu descrivi, probabilmente non saremmo stati decisivi nell’immaginare gli anni dell’anomalia trentina. Cerchiamo comunque di non far venir meno la reciproca comunicazione.
Michele
PS. l’aggettivo “insincera” è relativo ad un concetto di austerità proposto in sede europea ben lontano dalla sobrietà di cui ci sarebbe bisogno e ancor più lontano dalla necessità di riconsiderare la qualità (e anche la quantità) dei nostri consumi.