«Il monito della ninfea», cinque anni dopo.
29 Ottobre 2023Lo specchio del mondo
30 Ottobre 2023Come ti voglio ringraziare del contributo di pensiero che hai portato in quegli anni. Ragionavamo insieme sugli effetti della devastazione sociale ed economica nel dopoguerra bosniaco, sul lascito dei vecchi regimi comunisti e sui processi di deregolazione che segnavano quella che un tempo era stata la Jugoslavia. Che cercammo di tradurre in “un disegno – uso le tue parole – di sviluppo integrato ed endogeno del territorio” sul quale far convergere le risorse e i saperi locali. Dove lo sviluppo locale diveniva sviluppo di comunità. Ricordo gli incontri che realizzammo con il mondo agricolo di Prijedor in Bosnia Erzegovina, come spiegavi con passione ed autorevolezza quale avrebbe potuto essere una strategia di rinascita economica. Ricordo il compiacimento nell’incontrare giovani che avevano voglia di rimboccarsi le maniche nel settore primario, ma anche la risolutezza con la quale mandavi al diavolo le autorità locali che preferivano la logica deresponsabilizzante degli aiuti. Pensiero che ispirò la redazione di un manifesto per lo sviluppo locale nei Balcani che presentammo, oltre che a Prijedor, anche in altre città come Sarajevo, Zavidovici, Belgrado, Kraljevo, Pec-Peja, Scutari in collaborazione con le aree dove si andavano sperimentando forme inedite di cooperazione comunitaria.
Quei nostri lunghi viaggi nell’altra Europa erano l’occasione anche per confrontarci a tutto tondo sulla nostra di comunità, sullo stato di salute della nostra cooperazione e di un mondo rurale di cui ti sentivi parte e che andavano smarrendo i propri riferimenti fondamentali. Oppure della politica trentina, che sferzavi con tanto rigore. Perché volevi bene a questa terra e perché lo spirito critico ti portava a cogliere le contraddizioni e le forme degenerative del potere che, nel tempo, si sarebbero manifestate in maniera evidente. E malgrado ti definissi un “cristiano tecnico”, il tuo sguardo era finemente politico. Grazie anche per questo sguardo sulla nostra terra.
Per una vita ti sei occupato di domini collettivi. Il valore di questo impegno va ben al di là del riconoscimento di un istituto giuridico che, mentre veniva guardato con sospetto dalle grandi vulgate politiche (perché non corrispondeva al dualismo pubblico/privato), si è cercato di anestetizzare nelle sue prerogative culturali e materiali. Ciò nonostante, l’idea dell’inalienabilità delle proprietà collettive (o, se si vuole, dei beni comuni) si configura come parte di quel cambio di paradigma che s’impone per uscire tanto da una visione mercantilistica quanto da quella statalistica. Il che ci può far comprendere quanto prezioso sia stato il tuo lavoro di ricerca sulle proprietà collettive che poi, in questa terra, sono essenza costitutiva della nostra stessa autonomia.
Ancora un’ultima cosa, caro Pietro, ti volevo dire. Nel tuo percorso di vita – dall’Università di Trento alla Scuola di Preparazione Sociale, dall’Istituto Agrario di San Michele al Centro Studi e Documentazione sui Demani civici e le proprietà collettive – l’impegno formativo non è mai venuto meno. Eppure, nelle ultime occasioni d’incontro fra noi percepivo oltremodo lo sconforto nell’osservare la crisi dei corpi intermedi e con essi della politica. Personalmente considero quello dell’educazione permanente uno dei temi decisivi, tanto più per una comunità che si voglia immaginare all’altezza della responsabilità di autogoverno che vige in questa terra. Paradossalmente, si percepisce una profonda distanza da parte dei decisori (e più in generale della nostra società) verso questa urgenza, frutto di una navigazione a vista priva di visione talvolta persino teorizzata, che non ci porterà lontano. Tant’è vero che anche gli strumenti legislativi che come Trentino ci siamo dati giacciono talvolta inattuati nei cassetti della Provincia. Posso solo dirti che quell’incessante tessuto formativo al quale ti sei dedicato troverà, anche grazie alla tua testimonianza, nuovi rivoli per innervare di studio e conoscenza la nostra comunità.
Non mi piace la retorica di cui sono pieni i discorsi di commiato. Perché c’è troppa ipocrisia e perché ognuno di noi vive come può le molte contraddizioni che attraversano la propria esistenza. La coerenza è una continua e difficile ricerca dentro ciascuno di noi. Non dovremmo mai prenderci troppo sul serio e per questo quel tuo sorriso è anch’esso un prezioso insegnamento.
E, intanto, buona vita nella stanza accanto.
Michele
1 Comment
Mi spiace non essere stato presente a nome dell’Associazione Progetto Prijedor e porgere un saluto.
Ciao, Ezio