La stagione dei congressi e la praticabilità del campo
4 Aprile 2016La questione morale richiede cambiamento, non di allacciarsi le cinture…
24 Maggio 2016“La maledizione di vivere in tempi interessanti‘ (44)
di Michele Nardelli
Ricevo da Città del Messico una breve lettera, piena di amara ironia e di sdegno. Recita così:
“Cara Dilma, mi fai ricordare i giorni peggiori dell’appartenenza ai gruppi della sinistra messicana, quando venivano meno le ragioni e tutti i nostri affiliati dovevano avere “ragione per forza”, allo scopo di alimentare il piccolo potere “mafioso“ che in quel tempo avevamo… Posso immaginare col potere della presidenza del Brasile… la più grande ragione è il potere in quanto tale. Bugiardi di tutto il mondo, unitevi.
Carlos
Ps: è bene che il nostro amico Alberto non possa assistere a questo triste spettacolo‘.
Nel corso del viaggio in Messico nell’autunno scorso, con gli amici a Oaxaca dedicammo una delle conversazioni serali a ciò che rimaneva delle nostre speranze e a quel che avrebbe potuto pensare il nostro comune amico Alberto Tridente di fronte agli avvenimenti che scuotevano il suo caro Brasile con l’inchiesta contro l’ex presidente Lula e l’avvio della procedura di impeachment verso la presidente Dilma Rousseff.
Le parole di Carlos e le cronache di questi giorni mi fanno ritornare al cuore di quella conversazione, fra l’involuzione populista e autoritaria della politica e quella sorta di doppia morale che ha così fortemente segnato la sinistra novecentesca fra etica pubblica e comportamenti privati.
Oggi la sinistra brasiliana grida al “golpe“, accusando l’opposizione di voler sovvertire la presidenza della repubblica (e una parte del governo della stessa Rousseff di tradimento). Avversari politici che non sono certo migliori, né tanto meno legittimati al governo del paese, ma che cavalcano il malcontento e lo sdegno per l’occupazione del potere (compreso quello delle grandi aziende di stato quali Petrobras) da parte di una minoranza politica (qual è il PT in Brasile) in forme non dissimili del caudillismo latino americano.
All’origine infatti della catastrofe politica che sta attraversando il più grande paese dell’America Latina, al di là della consistenza più o meno rilevante delle accuse formulate, c’è proprio la percezione che Carlos coglie nelle sue righe, una cultura del potere che si autolegittima.
Certo, dal 2002 (anno in cui Luis Ignacio da Silva è stato eletto per la prima volta Presidente del Brasile) ad oggi questo paese ha conosciuto la più grande redistribuzione della ricchezza della sua storia, una crescita economica travolgente, programmi di educazione pubblica senza precedenti… Merito di un ciclo politico che faceva perno soprattutto sul ruolo e sulla popolarità del Presidente (il Brasile è uno stato presidenziale), senza però che a questo corrispondesse la crescita di un analogo consenso verso il Partido dos Trabalhadores, che pur essendo il primo partito non ha mai superato la soglia del 17%. Una “forte minoranza“, dunque, che ha governato per quindici anni il Brasile senza la capacità di far crescere nel paese una cultura istituzionale diversa da quella dell’occupazione del potere.
Credo sia proprio da ascrivere a questo l’uso disinvolto delle istituzioni che peraltro non è solo prerogativa di quel paese. Non è questa forse la deriva del “chavismo“ in Venezuela? Paese straordinariamente ricco di risorse che importa persino i pomodori che da lì provengono, principale produttore di petrolio del suo continente e dove si chiudono gli uffici pubblici per mancanza di energia, dove una classe militar-burocratica al potere si è arricchita oltre l’immaginabile e i negozi sono vuoti perché il Venezuela, proprio grazie all’ubriacatura del petrolio, non produce più nulla. Senza parlare della crescita esponenziale della criminalità organizzata che nel 2015 ha lasciato sulle strade di Caracas ventitremila morti… Questo è il risultato delle sciagurate politiche economiche e finanziarie di Chavez prima e di Maduro poi, non certo l’effetto dello strangolamento dell’imperialismo nordamericano. Anche qui oggi si chiama alla mobilitazione contro un nemico di comodo per scaricare altrove le proprie responsabilità. Ha proprio ragione Carlos, “bugiardi di tutto il mondo, unitevi“.
Una situazione diversa ma con profonde analogie è anche quella dell’altro grande paese latinoamericano. La cocente sconfitta del cosiddetto “peronismo di sinistra“ dei Kirchner in Argentina, in un succedersi di saghe famigliari tipico delle dinastie (tratto della postmodernità), evidenzia gli stessi tratti di cultura plebiscitaria e autoritaria, nell’incapacità di fare i conti con una sorta di tarlo originario, in fondo mai elaborato: la loro vicenda coloniale.
Tornando al Brasile, governare un paese come questo – ce lo ricordava spesso Alberto – è impresa temeraria. Farlo senza una maggioranza parlamentare ha reso l’impresa ancor più difficile. Non farcela, venire sconfitti, poteva dunque essere nell’ordine delle possibilità. Ma finire per effetto dell’intreccio fra affari e politica può solo far arrossire di vergogna. E parlare di “golpe“ è da irresponsabili per le conseguenze tragiche ne ne potrebbero venire, in Brasile come in Venezuela.
Quando sapremo fare i conti con tutto questo, invece di continuare a darci risposte rassicuranti? Perché non riconoscere che la cultura dell’avere ha reso l’uomo schiavo delle cose e che la cultura del potere l’ha spinto a separare tragicamente fini e mezzi dell’agire politico?