La Guerra civile americana
Bruce Levine
La Guerra civile americana
Una nuova storia
Einaudi, 2015
«Nel 2008 Barack Obama viene eletto presidente degli Stati Uniti d'America. Per la prima volta un uomo con la pelle del colore degli schiavi guida il più potente paese al mondo, dove pure vigevano fino agli anni '60 leggi segregazioniste. Cambio di scena e nel 2016 al suo posto sale alla Casa Bianca Donald Trump, espressione nemmeno troppo nascosta del white pride, l'orgoglio bianco. Com'è potuto accadere?
Guardando in quali Stati dell'Unione Trump ha avuto la maggioranza, emerge una geografia politica non dissimile a quella che nel 1861 portò alla Guerra di secessione americana. Alabama, Arkansas, Carolina del Nord e del Sud, Florida, Georgia, Louisiana, Mississipi, Texas e Virginia rappresentavano l'America profonda che si batteva contro l'abolizione dello schiavismo, molto diffuso proprio al sud.
Oggi questi stessi Stati hanno permesso l'elezione di Trump, esprimendo un orientamento politico-culturale conservatore quando non apertamente razzista. E' sempre in questi territori, tra l'altro, che il richiamo alla sicurezza personale si traduce nel maggior indice di diffusione delle armi da fuoco. Diverse possono essere le ragioni – dalla struttura economica a quella demografica – ma tra esse va tenuta in considerazione la mancata elaborazione delle vicende storiche, tanto della pulizia etnica verso le popolazioni native quanto della segregazione razziale».
Mauro Cereghini, Michele Nardelli
“Sicurezza” (Edizioni Messaggero, 2018)
Ora, con l'approssimarsi delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America e di fronte al clima di scontro senza esclusione di colpi che polarizza non solo la campagna elettorale ma anche l'elettorato nordamericano, ho cercato di approfondire una delle pagine più tragiche della pur breve storia di quel paese, considerato che quella più antica e profonda è stata praticamente cancellata dai coloni europei. Parlo della guerra di secessione o, come viene chiamata negli USA, della guerra civile americana che dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865 provocò più di un milione di morti. Una guerra che anticipò – nel rapporto fra tecniche belliche e rivoluzione industriale (l'introduzione delle armi automatiche) – il secolo degli assassini.
“La Guerra civile americana” di Bruce Levine (Einaudi, 2015) è una delle ricerche più autorevoli sulla guerra di secessione americana che pose fine, per la verità più in maniera formale che sostanziale, alla schiavitù, condizione che a quel tempo riguardava un ottavo dell'intera popolazione nordamericana. Ma – come ci ricorda l'autore – “nella primavera del 1861, Abramo Lincoln andò in guerra non per trasformare la società del Sud, ma per costringere gli Stati schiavisti che l'avevano abbandonata a ritornare nell'Unione”. Tanto è vero che negli anni successivi, come ebbe a scrivere lo storico Du Bois “gli schiavi furono liberi; stettero un breve momento al sole; poi ritornarono indietro allo schiavismo”. La guerra civile americana, ben oltre le intenzioni, segnò comunque la fine di un sistema che non aveva eguali sul piano della brutalità e l'avvio di un processo di emancipazione – malgrado l'elezione di Obama – mai del tutto concluso, nella realtà come nell'immaginario collettivo di quel paese.
Perché il genocidio delle popolazioni native nordamericane – attraverso i massacri, la pulizia etica, la riduzione in schiavitù, la cancellazione dell'habitat naturale, le malattie, la sterilizzazione forzata morirono 18 milioni di persone) – parte di quello ancora maggiore dei popoli nativi dell'intero continente americano, come la schiavitù e la segregazione razziale di cui lo slogan “American First” è figlio, non sono ancora elaborati collettivamente. Tanto da continuare a produrre i loro frutti avvelenati nel paese in cui sono possedute ufficialmente 88 armi ogni 100 abitanti (la percentuale più alta al mondo) e dove essere uccisi durante un arresto da parte di un agente di polizia rappresenta la sesta causa di morte per gli uomini di età compresa tra i 25 e i 29 anni, soprattutto tra quelli di colore.
Voglio dire che l'attuale contrapposizione ha radici lontane, ragione per la quale il rischio di una sua deflagrazione (come il non riconoscimento del risultato elettorale più volte paventato da Trump) è tutt'altro che remoto.
Conoscerne la storia è importante. Oltremodo se pensiamo che la partita che si sta giocando negli Stati Uniti d'America riguarda il futuro di tutti.