Alleati del nemico. Una proposta di lettura e qualche parola di solidarietà a Eric Gobetti
Eric Gobetti
Alleati del nemico
L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941 – 1943)
Editori Laterza, 2013
«Negli anni cruciali della seconda guerra mondiale, l'Italia fascista impegna enormi risorse militari, diplomatiche, economiche e propagandistiche per imporre il suo dominio su circa un terzo dell'intero territorio jugoslavo. E' una parabola breve, in cui però si condensa tutta la pochezza dell'impero di Mussolini: dai sogni di dominio sui Balcani nella primavera del 1941 al senso di sconfitta nell'estate del 1943. Efficacemente osteggiati dei partigiani di Tito, gli occupanti stringono ambigue alleanze con diverse realtà collaborazioniste, contribuendo a scatenare una feroce guerra civile. Vittime e carnefici al tempo stesso, i soldati del regio esercito combattono con pochi mezzi e scarse motivazioni ideali, costretti a vivere mesi e mesi in condizioni estreme, vinti dalla noia, dalla paura, dall'abbandono e, in fondo, anche dal fascino del ribelle».
Per una serie di ragioni ho aspettato che se ne andassero le giornate della memoria e del ricordo per pubblicare questa proposta di lettura.
La prima è che non mi piace la retorica delle ricorrenze, come se le nostre esistenze si svolgessero a compartimenti stagni. L'idea di affidare ad una giornata quel che dovrebbe diventare patrimonio del nostro modo di essere, del nostro sguardo sul mondo come dei nostri comportamenti, corrisponde alla rinuncia di imparare dalla storia. Il ricordo (o la memoria) sono processi personali e selettivi, non necessariamente corrispondenti alla realtà dei fatti, e di cui si può diventare prigionieri. Il fatto poi di farli divenire ricorrenze di Stato, cristallizzando narrazioni separate, contribuisce a tenere aperte le ferite, non a curarle. E' la ragione per cui le guerre non finiscono mai.
Questo mette in rilievo, è la seconda ragione, l'assenza di percorsi ed ambiti di elaborazione dei conflitti. L'elaborazione del conflitto non si fa una tantum, ma nella meticolosa e paziente ricostruzione degli avvenimenti e delle cause profonde che li hanno generati, da parte delle istituzioni di ricerca, degli storici e di tutti coloro che hanno la consapevolezza che la pace non è semplicemente assenza di guerra. Dovrebbe essere prerogativa anche di chi opera dentro i conflitti, dal pacifismo alla cooperazione internazionale, ma chi ne finanzia l'agire è un potere che preferisce per ragioni di consenso evitare di scavare dentro i conflitti e di affrontare il tema della colpa politica e morale, limitandosi tutt'al più all'indagine sulla colpa criminale.
Ne viene, terza ragione, un uso superficiale e talvolta propagandistico, dunque fazioso e manicheo, di tali ricorrenze che di certo non aiuta a comprendere come determinate pagine della storia siano potute accadere. Indagare l'Olocausto (di cui la Shoah è una parte e non il tutto), conoscere ed esaminare il Gulag e gli altri sistemi concentrazionari, le atrocità dei colonialsmi in nome della superiorità di una razza o di una nazione, lo sterminio degli Armeni e le tante pulizie etniche che hanno caratterizzato la formazione degli stati nazionali e fra queste la tragedia delle foibe..., significa in realtà interrogarsi sul Novecento, il secolo degli assassini1. E proprio la non elaborazione del secolo che ci siamo messi alle spalle è la ragione prima del risorgere dei nazionalismi.
Ed infine per il fatto che Eric Gobetti, storico e studioso delle vicende balcaniche nonché amico, di quell'uso propagandistico della memoria sia diventato vittima di un odioso attacco da parte dell'estrema destra torinese che l'ha accusato di negazionismo verso la tragedia delle foibe. Come se contestualizzare gli avvenimenti che hanno coinvolto le regioni lungo il limes dell'alto adriatico fra occupazione nazifascista e opposti nazionalismi significasse negare l'assassinio e la vendetta, la pulizia etnica e l'esodo di popolazioni dalle terre abitate da generazioni! Conosco i libri di Eric Gobetti, mi è capitato di assistere alle sue lezioni e ne conosco l'equilibrio di giudizio nella sua attività di studioso per potergli manifestare la mia solidarietà.
So bene quanto possa essere costoso cercare di sfuggire alla contrapposizione manichea, per essermi trovato molte volte ad affrontare situazioni di conflitto che richiedono terzietà e capacità di costruire ponti là dove un uso distorto della memoria tende ad abbatterli. Quante volte mi sono sentito dire “ma tu da che parte stai?”. So altresì quanto sia impopolare dire alle parti quel che non vogliono sentirsi dire. Ma quando si ha a che fare con opposti nazionalismi, accade regolarmente di prendere schiaffi da una parte e dall'altra. E so bene che nel cercare di sfuggire all'intruppamento, sia facile venir considerati dalla propria stessa parte come un traditore. Scrive a questo proposito Giorgio Mezzalira: «Serviranno anche traditori della compattezza etnica, che non si dovranno trasformare in transfughi per rimanere credibili. Langer intendeva persone capaci di chiamarsi fuori dal proprio fronte quando questo si chiude in cieco esclusivismo, quando non fa i conti con le sue miserie presenti e passate, quando il “rimanere uniti” è l’unico valore che tutto sopporta, giustifica e cancella. Tradire allora diventa un atto d’amore e di verità per la propria parte»2.
Di certo il modo con cui oggi si rivisitano alcune delle pagine che hanno segnato il Novecento non aiuta affatto a leggere la storia e a farne tesoro, figuriamoci a trovare punti d'incontro fra le diverse narrazioni. Il bel libro di Eric Gobetti che qui segnalo può aiutarci a comprendere la parzialità con cui spesso si affrontano questi avvenimenti.
1Marco Revelli, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro. Einaudi, 2001
2Giorgio Mezzalira, Alex Langer. Da “In movimento”, aprile-maggio 2018