Il monito della ninfea. Un libro sul nostro tempo
di Michele Nardelli
Attraversare le aree colpite dalla tempesta Vaia era come realizzare un'indagine sul nostro tempo. Solo questo avevo abbastanza chiaro quando poco più di un anno fa ho chiamato Diego Cason per andare a visitare quel che rimaneva dei boschi devastati delle Dolomiti bellunesi.
Il triste spettacolo che già avevo visto sulle montagne del Lagorai e nelle Valli di Fiemme e di Fassa in Trentino si ripresentava nel Comelico, nell'Agordino o nel Cadore, con la percezione sempre più nitida che quanto stavamo osservando rappresentasse, nel suo carattere inedito nelle valli dolomitiche, una nuova frontiera di quella ricerca che andavo svolgendo da tempo nel “Viaggio nella solitudine della politica”.
Tanto da dedicarvi qualche mese più tardi un vero e proprio itinerario fra Trentino e Friuli, passando per il Sud Tirolo e la provincia di Belluno, attraverso i 42.525 ettari della devastazione dell'ottobre 2018, lungo quel limes che nel trascorrere dei mesi andava accomunando la tempesta Vaia all'acqua alta a Venezia, lo sciogliersi dei ghiacci dell'Artico o della Marmolada al fuoco che devastava (e ancora sta devastando) l'Australia, il formarsi inarrestabile di immense magalopoli e l'insorgere di insidiose patologie come il coronavirus... a pensarci, facce diverse della medesima insostenibilità.
Ciascuna di queste crisi si manifesta come “emergenza” ma, oltre l'apparenza, nascondono ragioni strutturali profonde e approcci culturali che ci portano sempre a considerare l'“ultimo miglio” invece che andare alla radice, nell'irresponsabile certezza che la scienza e la tecnica (e dunque l'uomo nel suo delirio di onnipotenza) avrà sempre e comunque il sopravvento. Così, malgrado tempestivi ammonimenti, ci siamo ritrovati oltre il limite senza neppure averne consapevolezza.
Proprio questo bisogno di sguardo lungo sulla tragedia Vaia si è incontrato con la sensibilità di una casa editrice nascente che del rapporto fra uomo e natura intende fare la propria ragion d'essere: così nasce “Il monito della ninfea” (Bertelli Editori, 2020). Un titolo che, riprendendo l'immagine proposta dal filosofo Remo Bodei prima di lasciare questo mondo, va al cuore della cultura emergenziale cui ci stiamo adattando:
«... resta pur sempre valido il monito espresso dall'immagine della ninfea che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che, il giorno che precede la copertura dell'intera superficie dello stagno la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato intimamente a credere all'imminenza della catastrofe».
Su quanto accadde nella notte del 29 ottobre 2018 si è già scritto molto. Molto meno sulla mancanza di coordinamento fra le Regioni colpite, sui territori deprivati di autogoverno e di saperi, sugli effetti di un abbandono della montagna che pure mostra qualche piccolo segno di controtendenza. Ma è attorno al messaggio di Vaia che andava e va posta l'attenzione, sulla fragilità di un pianeta che fatica a invertire la rotta, su quella dei territori che si trovano investiti dagli effetti della crisi climatica senza aver saputo (almeno nei limiti del possibile) interrogarsi per tempo e metterli in sicurezza, sul progressivo inurbamento che porterà di qui a pochi anni alla formazione di agglomerati che conteranno decine di milioni di abitanti (secondo le previsioni Lagos nel 2100 avrà 88 milioni di abitanti), con le conseguenze che possiamo immaginare (e che in parte già vediamo nel degrado come nell'insorgere di nuove patologie). Sono solo alcune delle fragilità che il nostro lavoro prende in esame e rispetto alle quali servirebbe un cambiamento profondo, individuale e collettivo.
E invece, malgrado gli ammonimenti provenienti da autorevoli comunità scientifiche e morali (dalla Commissione sul Clima delle Nazioni Unite all'enciclica papale Laudato sì), la tendenza autodistruttiva prosegue, i paradigmi della politica non cambiano (considerato che a portarci fin qui è stata l'idea della crescita infinita) e ovunque si fanno largo apprendisti stregoni che agitano la clava del “prima noi”, il moderno fascismo.
Il libro prova ad indicare un un nuovo racconto. Nel riappropriarsi delle antiche forme di autogoverno del territorio, nel ripensare il nostro rapporto con il bosco e la montagna, nel costruire nuovi equilibri rispetto a quelli spezzati dal modello industrialista e da un turismo aggressivo, nel riconsiderare i nostri stili di vita e di consumo, nell'intrecciare nuovi legami comunitari capaci di prendersi cura e di investire sulle relazioni, nel valorizzare le buone pratiche ma insieme nella consapevolezza che il cambiamento deve investire la politica e le istituzioni, di questo nuovo racconto “Il monito della ninfea” traccia le linee essenziali.
E' certamente un cambio di paradigma quello proposto. Ma non si parte da zero e non siamo soli. Come bene ha colto Gianfranco Bettin nella sua prefazione «il libro è anche un affascinante quadro delle culture che si scontrano sulla scena del mondo attuale, la dissipativa, estrattiva, arrogante e incurante che è all'origine della crisi ambientale e climatica e del dissesto degli ecosistemi, e la ricca, complessa, articolata stratificata e decentrata cultura fatta di saperi radicati nei luoghi, di pratiche sviluppate per tentativi e osservazioni lungo millenni, che dell'equilibrio con la “casa” comune... ha fatto sempre il proprio centro (il proprio cuore e il proprio cervello)».
Abbiamo così inteso rovesciare l'antico scontro fra tradizione e modernità: una cultura del limite «non in nome della potenza e della storia, bensì della misura e della vita».
Il monito della ninfea ora anche su youtube: https://youtu.be/qVa6CFMy7Vw