Lo spazio ibrido

Simone Casalini

Lo spazio ibrido

Culture, frontiere, società in transizione

Meltemi, 2019


Quello che ci propone Simone Casalini è un viaggio nel tempo e nello spazio che – attraverso luoghi dimenticati di una cronaca priva di memoria e avara di curiosità – ci aiuta a ri-descrivere la nostra contemporaneità.

Un viaggio che tocca corde che sento vicine e che mi hanno portato negli ultimi anni a cercare lungo itinerari che si rivelano di volta in volta cruciali, le chiavi di un inedito discorso politico nella lunga notte seguita alla fine di una storia.

I luoghi scelti da Simone Casalini sono altrettanti limes, frontiere di nuove mutevoli geografie materiali ed immateriali che, proprio per il loro carattere complesso e spesso ambivalente, ci offrono strumenti interpretativi per abitare un tempo sempre più interdipendente, lo spazio ibrido.

Un tempo che oggi si presenta a noi prevalentemente nelle forme della deriva particolaristica ed egoistica, ma se questo avviene è anche perché manca un racconto diverso da quello che ci ha portati sin qui, superato eppure incombente perché il passato privo di elaborazione rimane lì, non passa.

Allora rivisitare questi spazi simbolici significa dar loro la parola, per scoprirne i chiaroscuri, la fatica del fare i conti con la storia e la curiosità, la banalizzazione e la bellezza, il disincanto e il non rassegnarsi che questo sia il migliore dei mondi possibile.

Mentone e Brennero, Tunisi e Mazara del Vallo, Genova e Trento sono città di frontiera che hanno segnato lungo la storia il delirio degli stati – nazione, la scomparsa dello spazio mediterraneo, l'invecchiamento precoce dell'Europa. Ma, a ben vedere, questi luoghi sono comunque l'esito di antiche e continue ibridazioni che ne hanno forgiato gli abitanti, gli idiomi, l'urbanistica, l'architettura, le espressioni artistiche, il cibo. E che, malgrado le bandiere diverse e le fanfare dissonanti, hanno dato vita ad incontri e nuove cittadinanze.

Che possono suscitare paure, certo. Ma come ogni conflitto, anche la paura va indagata e riconosciuta, non esorcizzata. Fatta diventare generativa, invece. Niente di definitivo – nessuna identità viva può esserlo – ma nuovi scenari a loro volta percorsi da nuove conflittualità. Perché questa è la vita.

“Lo spazio idrido” (Meltemi, 2019) ci parla dei protagonisti di questa generatività, dei sincretismi che ne vengono, certamente della fatica quotidiana ma anche della necessità che tutto questo diventi trasformazione, ovvero progettualità politica.

«Sull'orlo della frontiera – scrive Simone – si configura il mondo». Al cimitero di Trabuquet dove riposano i tirailleurs senegalais come all'Albergo alla Posta di Brennero che diede alloggio a Goethe, fra le bancarelle di Sidi Bouzid dove s'infiammò la primavera araba come nella Casbah di Mahdia del Vallo dove i mazaresi di ogni origine non perdono di vista il tremor della marina, nei vicoli fuori da ogni registro di Zena (Genova) come in quella via al Desert dove le camerate che un tempo facevano l'eco agli idiomi fra loro incomprensibili dei ragazzi in divisa (le caserme di Trento) ora ospitano altre umanità in cerca di asilo e di futuro. Nel non volerlo vedere o, peggio ancora, nel rifiutarlo c'è l'incubo del prima noi. (m.n.)