Maschere per un massacro
L'incontro che si svolge alle 9.30 presso l'assessorato alla solidarietà internazionale non è facile. Lo dico perché non mi sono ancora abituato ad un certo modo di monopolizzare un contesto e lo dico perché non nascondo di aver fatto fatica a mantenere la calma. Mi passano davanti agli occhi le immagini di una vicenda che avevo messo da parte, in qualche angolo remoto della memoria. Era la metà degli anni '80, a Roma, negli uffici di via Farini dove lavoravo. Il contesto una conferenza stampa dedicata alla denuncia di uno dei tanti tragici capitoli della vicenda del conflitto israelo - palestinese. Poco prima della conferenza stampa il salone della direzione nazionale risultava affollato di troupe televisive in maniera inusuale. Ovviamente la cosa ci stupì, ma non per molto. Avvenne che qualche attimo prima dell'inizio della conferenza stampa alcune persone estranee si presero il palco proponendo fra bugie ed insulti la propria versione dei fatti. Un bliz vero e proprio che lasciò tutti esterrefatti , concluso il quale gran parte delle telecamere se ne andarono, non assistendo nemmeno per un minuto alla conferenza stampa vera e propria.
Oggi la scenografia è tutt'altra. Siamo ad un incontro fra la PAT, il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, le associazioni trentine che si occupano di Medio oriente, allo scopo di mettere le basi per una "tre giorni" sul conflitto israelo-palestinese da realizzarsi in Trentino nella prossima primavera. Chi siede intorno a questo tavolo non dovrebbe rappresentare una parte in conflitto, bensì soggetti terzi impegnati per il dialogo e la pace. Dobbiamo prendere atto che così non è. Ho cominciato ad imparare a rivolgere in positivo quel che è di segno diverso e dunque mi dispongo alla sfida di costruire un percorso che sembrerebbe improbabile.
L'Assessore Lia Giovanazzi Beltrami indica un metodo: mettere in luce gli elementi che uniscono piuttosto di quelli che dividono, rivolgere lo sguardo ai comportamenti virtuosi nel segno del dialogo piuttosto che agli elementi conflittuali, valorizzare le relazioni piuttosto che le posizioni politiche. Cerchiamo di tenerci su questo profilo ma ho l'impressione che possa prevalere l'ipocrisia. Allora decido di intervenire parlando del recente viaggio, del senso di sconforto che mi ha accompagnato, del fastidio che mi dava la parola "dialogo" di fronte ad insediamenti abusivi di migliaia di persone con caratteristiche di fortezze piuttosto che di insediamenti urbani o dell'accaparrarsi dell'acqua come arma di presidio del territorio. Tanto che la pace mi appare oggi più lontana di ieri. Le speranze di pace si sono infrante. Non ci resta allora che interrogarci e provare a dare risposte diverse rispetto al passato. E' la ricerca di risposte inedite che dovrebbe segnare il profilo politico dell'iniziativa, accanto alla valorizzazione di tutte le strade che la società civile sta cercando di battere per far vivere nonostante tutto la speranza di pace e di convivenza.
Avremo l'onestà intellettuale e la capacità di fare questo? Lo vedremo, intanto ci mettiamo alla prova con una serie di gruppi di lavoro e verificheremo se saremo capaci di mettere via pregiudizi ed ipocrisie. Senza chiudere gli occhi sulla realtà, sui muri di cemento armato come su quelli che ossessionano il nostro immaginario. Per questo provo un po' di sollievo nel vedere le belle foto di Ulrich, amico berlinese che da anni vive in Trentino, dedicate proprio al muro caduto vent'anni fa, esposte al liceo Rosmini. Si può avere nostalgia di un muro vissuto con orrore? Nelle parole di Ulrich, vien fuori l'amarezza per quell'89 che ha aperto tante speranze poi andate in frantumi. La nostalgia dell'est è un sentimento tanto amaro quanto diffuso, rappresentato dall'immagine della "Trabi", quella trabant che della Germania Democratica era uno dei simboli.
Anch'io - che nostalgico non credo affatto di essere - confesso di conservare con un certo orgoglio qualche oggetto di quella storia scomparsa. Una piccola coperta dell'Interflug, la compagnia aerea della DDR, che ricetti in un viaggio del capodanno fra l'88 e l'89 in occasione del trentennale della rivoluzione cubana che mi portò a L'Avana ad incontrare Fidel Castro. Era tale la condensa che nella traversata festante (era il 31 dicembre) nella carlinga del vecchio tupolev sembrava piovesse.
E' notte quando parto per Bressanone/Brixen dove con Mauro Cereghini presentiamo "Darsi il tempo" in un luogo caldo e suggestivo, la "casa della solidarietà". Il pubblico è rappresentato da un bel gruppo di giovani sudtirolesi che c'interrogano sulla cooperazione e sul nostro sguardo sul mondo. Oltre alle nostre parole, una trama fitta fitta di domande ed un applauso conclusivo che parla da solo.
Quando arrivo a casa è l'una di notte passata.