Il Veneto che amiamo
Fernando Bandini, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern, Andrea Zanzotto Il Veneto che amiamo Prefazione di Goffredo Fofi Edizioni dell'asino (2009)
La mutazione che ha cambiato l'Italia ha avuto tappe ed effetti forse più violenti, quantomeno più vistosi, in Veneto. Il Veneto non è più quello che hanno visto e ci raccontano, in un assiduo confronto tra ieri e oggi, quattro grandi scrittori e poeti.
S'intitola “Il Veneto che amiamo”. È un omaggio al Veneto, al Veneto dei suoi grandi vecchi inascoltati ma anche ad un territorio che più di altri interpreta la postmodernità"; alla laboriosità del suo miracolo economico e alla perdita di identità di una regione sofferente; alla “mitezza dei suoi contadini” e alla delicatezza dei suoi paesaggi quando fra i suoi borghi c’era soluzione di continuità ; alla terra d’emigrazione e a quella che mal sopporta i migranti di cui non può fare a meno; alla cultura dei suoi poeti e alla curiosità di chi ha continuato descriverci come quella terra lentamente si andava trasformando.
Ora che anche la parola “amore” ci è stata sottratta, non saprei come descrivere le espressioni di Fernando Bandini, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto verso il loro Veneto, una terra amata, che faticano a riconoscere ma dalla quale però non intendono affatto prendere le distanze.
Per due di loro, Rigoni Stern e Meneghello, quelle parole sono una sorta di testamento affidato alla conversazione con dei vecchi amici (Goffredo Fofi, Gianfranco Bettin, Marco Paolini), avendo lasciato questo mondo. Prima di lasciarlo, il vecchio narratore delle due grandi guerre, che in esse aveva pure ritrovato la forza dell'umanesimo, ci affida un messaggio che riflette il suo rammarico per le cose del mondo: “...siamo progrediti riempiendoci anche di cose inutili”. E, ciò nonostante, con una grande speranza che Rigoni Stern ritrova nella bellezza e nella dignità dell'umano conservata nella mummia di Similaun, nel dare senso all'agire in quel "non farmi sentire un disertore, fino ad ora" o più semplicemente "nel fare la polenta invece di aprire il frigorifero".
Un messaggio di amore che, nonostante tutto, ci affida anche Luigi Meneghello nel suo spiegare la volgarità del nostro tempo come il prezzo da pagare per "aver corso di più". Un paese che raccontava con gli occhi di chi lo aveva osservato per tanto tempo da lontano, cogliendone i cambiamenti più di chi se ne restava immerso. Un paese che è riuscito a mandare i figli a scuola, che si è arricchito: tanto che quasi s'indispone di fronte all'intervistatore che gli dà l'impressione di voler fargli parlare male del Veneto o dell'Italia. Che afferma il raro coraggio di “apprezzare ciò che di buono è stato fatto”.
Quello stesso messaggio che viene dalla conversazione con Fernando Bandini, poeta che racconta la sua vita attraverso quelle dei poeti con i quali ha condiviso i passaggi della sua esistenza, che si emoziona nel descrivere il linguaggio astrale di Andrea Zanzotto: "Come se fossimo diventati gli ultimi abitanti di una galassia in declino sotto una stella che si sta spegnendo", che racconta con orgoglio del suo impegno politico di "austro-marxista" fuori dalle vulgate che pure non esita a lasciare - nonostante i consigli della madre (che sapeva dove "abitava il giusto e dove l'ingiusto") - quando non ci si riconosce più nelle idee, che è così profondamente vicentino da arrabbiarsi di fronte allo stupro della sua città rappresentato dalla base americana Dal Molin ma anche da prendersela con chi nell'opporsi alla base non sa far altro che tornare indietro agli anni cinquanta, usando "un linguaggio ideologico che ricombatta le diverse posizioni in arcaici fronti contrapposti". Infine la testimonianza di Andrea Zanzotto, oggi quasi novantenne e ciò nonostante non ancora domo sul piano dell'impegno civile nel suo "scrivere dentro queste ceneri", nel "suo esilio dentro la realtà" dove sembra prevalere la fabbrichetta velenosa, la discarica puzzolente, l'intasamento del traffico, ma dove - nonostante tutto - crescono rigogliosi i meravigliosi colori della natura. «Meglio stare qui, diciamo, con un modo di dire contadino: "Anca picadi a un spin", ma comunque qui». Nel Veneto che amiamo, nonostante la deriva. (m.n.)