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Alluvioni, la cultura emergenziale e quella semplicistica

Va pure tenuto presente che lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari diminuisce l’albedo, cioè la capacità di riflettere le radiazioni solari, che giungono sulla Terra nella banda dell’ultravioletto e che vengono riemesse nell’Universo. La diminuzione dell’albedo aumenta la radiazione all’infrarosso. Va inoltre considerato che la Terra a sua volta è un corpo caldo e che produce una maggiore quantità di onde all’infrarosso rispetto a quelle che riceve nell’ultravioletto e con luce visibile dal Sole.

Lo scioglimento dei ghiacci produce poi l’innalzamento dei mari per la massa d’acqua che viene scaricata, senza contare che l’aumento dei mari è anche prodotto dal moto molecolare che si ottiene quando un corpo viene riscaldato. A questo va aggiunto tutto il calore derivante dagli attriti e dalle combustioni prodotte dal funzionamento di macchinari, anche da quelli che utilizzano energie rinnovabili (telefonini). Si deve inoltre considerare la produzione continua di plastiche non biodegradabili, il mancato scioglimento dei carbonati di calcio, ecc.

Entro questo quadro va collocata anche la situazione che si è venuta a creare con l’abbattimento nel Trentino, nel Veneto e nel Friuli di una gran massa di conifere, a causa di un vento eccezionale. La perdita di ettari di bosco contribuisce a limitare la fotosintesi, aumentando l’effetto serra.

Si pensava che il riscaldamento dell’atmosfera seguisse un andamento lineare secondo leggi deterministiche, ma in realtà il fenomeno segue una successione stocastica, con andamenti casuali e probabilistici. Quando si studiano questi fenomeni, si deve innanzitutto definire il sistema in questione, considerando tutte le relazioni termodinamiche che lo mantengono in stato stazionario o a bassa entropia, riversando un aumento di entropia nell’ambiente.

Ad esempio la pavimentazione del centro storico di Trento è un sistema ordinato (a bassa entropia), che tuttavia ha provocato disordine (entropia) nell’ambiente: cave di porfido, cave di pietra rossa, ecc. Questi principi valgono anche per il surriscaldamento dell’atmosfera, secondo la termodinamica dei sistemi aperti.

Allora dovremmo domandarci: che cosa non ha retto?

La causa principale del disastro sta nel fatto che la massa arborea con il passar dei secoli si è diretta verso la monocultura: pino silvestre, picea, abete e in quote più alte larice con apparati radicali superficiali rispetto alle latifoglie e lentamente il bosco misto originario, anche a quote in cui poteva vegetare, ha dovuto lasciare il posto alle conifere. Oggi quindi si constatano le conseguenze!

Nel disastro ambientale che ne è derivato, inoltre si è tenuto conto solo marginalmente della fauna, che sicuramente non ha trovato scampo nella catastrofe e che non troverà sufficientemente predatori e animali che vivono di carogne, che ripuliscano il terreno dalle carcasse di animali morti, con conseguente inquinamento delle acque. Non dovremmo mai dimenticare che i sistemi naturali evolvono insieme.

Per affrontare in modo corretto il problema sarebbe necessario osservare in termini storici due poli apparentemente contrapposti il Nord Africa e le Alpi e Nord Europa. Nelle regioni alpine e del Nord Europa c’erano popolazioni che costruivano le loro abitazioni su palafitte in laghi e paludi. Lo studio delle torbiere permette di individuare la tipologia arborea in essere in ogni luogo. In epoca preistorica, dal IV millennio avanti Cristo fino alla colonizzazione romana, il deserto del Sahara, secondo il ritrovamento dei graffiti rupestri, era abitato da popolazioni, se pur nomadi, che vivevano di pastorizia con armenti di bovini, pecore e capre. I dromedari furono introdotti o rintrodotti in epoca romana.

Nel Nord Africa il continuo disboscamento proseguito in epoca storica senza alcun controllo ha poi portato all’aumento del deserto. Questo è dimostrato dalla presenza di grandi città. Esse avevano un retroterra sicuramente attorniato da boschi (cedri dell’Atlante) che ha permesso lo svilupparsi di potenti marinerie (Cartaginesi, Romani, poi in seguito Vandali, Bizantini e infine Arabi e Turchi). La navigazione nel Mediterraneo si faceva con le galee e con rematori, più o meno liberi, fino al ‘700. Ogni galea era costruita da un’enorme massa di alberi tagliati e ogni remo era ottenuto da un intero tronco.

Questi due poli hanno innescato un meccanismo al quale difficilmente si può mettere rimedio, se non con opere enormi di riforestazione che dovrebbero coinvolgere, sia le regioni alpine, sia le regioni del Nord Africa soprattutto lungo l’alto fiume Niger. Alcune esperienze in Africa in questo senso si sono rivelate positive, ma non sono sufficienti.

Nelle regioni alpine per ricostruire la foresta originaria è necessario fare un’analisi osservando i pollini rintracciabili nelle torbiere, attraverso i quali si rilevano le fluttuazioni del clima. Solo così è possibile adattare il ripristino delle foreste al clima in evoluzione, evitando la proliferazione di specie esotiche e d’importazione (Robinie, Pioppi canadesi, ecc.).

Nello stesso tempo bisogna anche mettere in sicurezza i fiumi e i piccoli corsi d’acqua, anche quelli che hanno normalmente scarsa portata d’acqua, tenendo soprattutto conto della legge del medico e matematico Daniel Bernoulli (1700-1782) sui fluidi. Tale legge, studiata per la circolazione del sangue, afferma che in vaso stretto aumenta la velocità e diminuisce la pressione, nei vasi larghi diminuisce la velocità e aumenta la pressione.

La legge di Bernoulli vale per i corsi d’acqua che vanno progettati non con argini verticali, ma con argini a doppio trapezio con le base minore in basso; in questo modo si produce il rallentamento delle acque. In base alla legge di Daniel Bernoulli si può studiare il volo degli uccelli, degli areoplani, ecc. La legge di Bernoulli non è stata rispettata in molti corsi d’acqua sia nel Trentino, sia nel resto d’Italia.

Invece di piangere sulle voragini che si aprono nelle strade d’Italia sarebbe meglio che certi professionisti, ma anche procuratori della Repubblica e giornalisti, studiassero certe leggi fisiche. Allora si eviterebbero molti disastri. La causa delle principali catastrofi (inondazioni e terremoti), che si verificano in Italia, sono frutto di una cattiva progettazione per cui si costruiscono muri portanti utilizzando mattoni forati da 8 centimetri (vedi l’Aquila), scarichi non adeguati (Sarno), ecc.

Nel Trentino si deve tener conto delle opere idrauliche che sono state fatte nel corso dell’Ottocento, rettifica dei fiumi costruendo degli argini a una quota più alta del piano di campagna.

Solo per citarne alcuni: rettifica del Sarca con il prosciugamento del Lago di Pietramurata. Rettifica della confluenza del Noce, che sfociava nell’Adige a Grumo e a San Michele, con prosciugamento delle paludi della Piana Rotaliana (il Lago di Caldaro è una parte residua dei laghi rotaliani). A sud di Trento si è prosciugato il Lago del Lindorno, formato dalle acque dell’Adige e dai corsi d’acqua che scendevano dalla Marzola e dal Bondone, cui si sono aggiunte verso il 1530 le acque del Fersina con lo sbarramento di Ponte Alto. Tale lago è stato trasformato in una discarica in funzione fino agli anni ‘50 del secolo scorso e poi ricoperta con campi da calcio, palazzetto dello sport e aeroporto. Si deve pure ricordare, che nel corso dell’Ottocento sono state eliminate le grandi anse dell’Adige a Trento, a Calliano e Volano. Negli stessi anni in Valsugana va ricordato l’abbassamento del Lago di Caldonazzo, l’irreggimentazione delle acque del Brenta e il prosciugamento del Lago di Novaledo presso la Tor Quadra.

Se le opere idrauliche effettuate dopo l’alluvione del 1966 (Trento, Val Campelle, Val Calamento, Valle del Chieppena, Canal San Bovo, Primiero) in questa occasione hanno retto alla piena dei fiumi, in futuro non saranno più sufficienti. Si consideri inoltre che molti corsi d’acqua in città sono stati intubati (Saluga, Roggia Grande, Adigetto): essi potranno produrre delle sorprese. Infine va pure tenuto presente che il controllo delle acque deve essere concordato con la provincia di Bolzano o forse restituito alla Regione.

Occorre dunque una visione di sistema capace di sguardo lungo, nella storia come nel nuovo contesto che i cambiamenti climatici determineranno. E soprattutto mettere in discussione un modello di sviluppo che si dimostra ogni giorno più insostenibile.

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