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Ogni volta che bisogna scegliere tra due identità potenzialmente in contrasto, la Lega sceglie quella di livello più basso. E quindi essere (o stare coi) veneti è meglio dell’essere settentrionali, essere del Nord è meglio dell’essere italiani, essere italiani è meglio dell’essere europei, essere cristiani è meglio dell’essere esseri umani. È un messaggio che passa con facilità e che riesce a gestire le potenziali contraddizioni che produce: se si parla delle violenze di origine islamica si può agevolmente rivendicare la propria identità cristiana o europea, ma se si parla di politica monetaria si può rigettare quella stessa identità europea e accentuare quella italiana, e così via.

La diffidenza e il pregiudizio sistematico verso chi viene da più lontano – possono essere 50, 500 o 5000 chilometri di distanza, dipende dai casi – sta dietro a tutto il messaggio della Lega e le conferisce un’invidiabile coerenza interna. Quella stessa logica sta dietro a uno dei paradossi più affascinanti dell’ultimo decennio di storia europea: le destre localiste o nazionaliste che riescono a mettere in piedi la più efficace campagna paneuropea della storia. L’abilità con cui Le Pen, Orban, Farage hanno giocato coi diversi piani e le diverse identità per influenzare l’agenda politica non ha eguali tra gli altri partiti. In teoria, il messaggio delle sinistre europee dovrebbe essere speculare al loro (empatia, simpatia e credito non solo a chi ci sta accanto, ma anche a chi sta qualche centinaio di chilometri più in là), ma finisce per incartarsi in mezzo a questi molteplici livelli.

La preferenza per le genti e le tradizioni di casa propria su quelle che vengono da qualche luogo più in là è strettamente legata a un altro sentimento che sta sotto a molti degli sconvolgimenti dell’opinione pubblica europea negli ultimi anni (e al successo dei populisti e delle destre): il sentimento di sentirsi stranieri a casa propria. Tra le dinamiche politiche in atto, una delle tensioni più forti è quella tra chi si sente a casa anche all’estero e chi si sente straniero persino a casa: gli uni sono attrezzati e ottimisti, mentre gli altri si vedono inadeguati e spaesati. Non è uno scontro tra europeisti e euroscettici, quanto piuttosto tra apocalittici e integrati. E il problema è che il messaggio europeo e quello delle sinistre sono pensati per gli attrezzati e gli integrati, non per chi si ritrova spaesato.

Che identità multiple possano convivere in uno stesso soggetto non è una novità: le identità personali e collettive vengono costantemente rimodellate e rinegoziate a seconda del contesto, non serve l’adunata degli Alpini di Trento per rendersene conto. Ma alcuni dei problemi che sta incontrando il progetto europeo derivano proprio da una sottovalutazione di questi meccanismi. Anche se il sentimento di appartenenza all’Europa è tra i più alti di sempre, il sentimento di attaccamento dei cittadini al proprio stato nazionale rimane ancora più elevato. Nonostante le aspettative dei decenni scorsi, è evidente che un aumento del sentimento europeo non implica un indebolimento del sentimento nazionale: prima o poi bisognerà farsene una ragione.

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