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29 Maggio 2014Anche lei ritiene che il 42,35% del Pd sia il risultato della polarizzazione elettorale tra Renzi e Grillo? «È evidente. In Trentino, come in Italia, il voto è stato condizionato da aspetti contingenti, tra i quali il principale è la polarizzazione Grillo-Renzi, con la netta affermazione di quest’ultimo. Eppure, io credo che questo voto abbia aperto un ciclo politico nuovo».
Restando al dato provinciale, i 93.038 voti ottenuti dal Pd in un quadro di bassa affluenza dicono che migliaia di persone non «di sinistra» e nemmeno vicine alla sinistra domenica hanno votato Pd. È stato infranto uno storico tabù? «La domanda che lei pone ci porta dal piano oggettivo della contingenza elettorale a quello, tutto da scrivere, dell’evoluzione strutturale che si potrà verificare. Le variabili sono molte e dipendono in primo luogo dalla capacità che avrà Renzi di interpretare la richiesta, insieme di sicurezza e di cambiamento, che è arrivata dalle urne. Ritengo e spero che il Trentino possa essere anche questa volta all’avanguardia dei processi politici nazionali». In che modo? «L’anomalia che, in passato, ci ha permesso di resistere alle sirene del berlusconismo e al rancore leghista è stata la coalizione: un luogo plurale ottenuto rifiutando la semplificazione nazionale e la diaspora dell’area popolare. Qual è la novità che il voto di domenica ha definitivamente sancito? La fine della forma partito che noi abbiamo conosciuto. Ha vinto Renzi andando oltre il potenziale del Pd. Il tema è ora come dare stabilità a questa nuova fase».
Lei cosa propone? «Se viviamo una fase post-partitica, anche la nostra coalizione fatta di partiti deve evolvere in un luogo politico più forte e più stringente, che non può nascere da idee al ribasso come quella delle fusioni parziali tra partiti. Credo che lo strumento più opportuno per costruire un campo comune possa essere un’associazione politica che unisca ciò che già siamo: democratici, popolari, autonomisti e riformisti».
La prima obiezione che nascerà in casa Pd sarà: perché mai dovremmo rimetterci in discussione quando siamo vicini a rappresentare la maggioranza dei trentini? «Non si chiede a nessuno in questa fase di smantellare nulla, questo deve essere chiaro, solo di costruire un luogo comune in cui progettare la politica. L’evoluzione, come dicevo in premessa, è tutta da scrivere. Io a questo progetto mi sentirei di dare un personale contributo. Il Trentino non può limitarsi a fotografare ciò che c’è già a Roma e nemmeno pensare che basti trovare formule dall’orizzonte esclusivamente locale. Anche Sergio Fabbrini, sul vostro giornale, tratteggia un percorso simile».
Insomma, i tempi secondo lei sono maturi perché l’anomalia trentina possa trovare un nuovo assetto che veda il Pd come punto di riferimento nazionale? «Dipende dalla evoluzione del percorso iniziato da Renzi. Nel “campo democratico e popolare”” la nostra esperienza si troverebbe in assoluta sintonia. È