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Bosnia Erzegovina: la rivolta

Nella giornata di oggi i manifestanti sono riusciti ad avere il sopravvento sulle forze di polizia e hanno dato alle fiamme prima la sede del governo cantonale a Tuzla, un edificio di 16 piani, poi quello di Sarajevo, dopo violenti scontri a Skenderija nel corso dei quali la polizia ha sparato proiettili di gomma e granate assordanti. La televisione bosniaca ha riferito anche di negozi saccheggiati, sempre a Sarajevo, dove sono anche state date alle fiamme diverse automobili della polizia e mezzi privati. Nella capitale bosniaca le proteste sono particolarmente forti e, al momento in cui scriviamo, giunge la notizia che anche la sede della Presidenza del paese sta andando a fuoco.

Manifestazioni e proteste si sono tenute o sono state annunciate anche a Mostar, Kakanj, Brčko, Sanski Most, Prijedor, Banja Luka, Gračanica, Bihać, Zavidovići e in altri centri.

Il premier del cantone di Tuzla ha dato oggi le dimissioni mentre il Primo ministro della Federazione, Nermin Nikšić, ha dichiarato al termine di una riunione di emergenza che “i lavoratori lasciati senza i diritti fondamentali, come la pensione e l’assicurazione sanitaria, vanno distinti dagli hooligan che usano questa situazione per creare il caos.” La presenza all’interno delle manifestazioni di gruppi di ultras non è tuttavia sufficiente per spiegare le dimensioni e la rabbia di una protesta che sta coinvolgendo diversi segmenti della società, in forme ancora contraddittorie. A Tuzla, ad esempio, diversi dimostranti hanno aiutato i pompieri nel cercare di spegnere l’incendio della sede del governo cantonale, diversamente da quanto avvenuto a Zenica. Anche la sede del governo del cantone di Zenica-Doboj, infatti, è stata incendiata. Qui però, come ha riferito l’agenzia di stampa Anadolija, i mezzi dei vigili del fuoco sono stati bloccati dai manifestanti.

Gli operai di Tuzla, mercoledì scorso, protestavano contro la chiusura di cinque grandi fabbriche, dichiarate fallite dopo essere state privatizzate, e chiedevano l’intervento delle istituzioni. La loro vicenda, però, è subito divenuta la scintilla che ha convogliato il malessere generale di un paese dove il tasso di disoccupazione ufficiale sfiora il 30%, ma quello giovanile sale al 60%. Una dimostrante di Tuzla, citata dai media locali, aveva subito dichiarato che “la gente non ha più da mangiare, ha fame, i giovani non hanno lavoro, non c’è più assicurazione medica, ai cittadini non sono garantiti i diritti elementari. Non può andare peggio di così.”

Zdravko Grebo, docente all’Università di Sarajevo e noto attivista per i diritti umani, ha dichiarato che spera queste manifestazioni siano l’inizio di una “primavera bosniaca”. La nozione di primavera bosniaca si sta in effetti diffondendo. Anche Danis Tanović, il noto regista bosniaco premio Oscar per il film “No man’s land”, ha postato su Instagram un breve messaggio che dichiara l’arrivo della primavera. È ancora presto tuttavia per dire se questa esplosione di rabbia verrà ricondotta ai recinti etnici che hanno dominato la politica della Bosnia Erzegovina negli ultimi 20 anni, oppure se stiamo davvero assistendo ad un cambiamento. Altri movimenti che avevano fatto sperare in un’evoluzione del dibattito politico bosniaco, fermo alle categorie imposte dai nazionalisti nella guerra degli anni ’90, sono rapidamente scomparsi dalla scena pubblica. È stato questo il caso ad esempio della cosiddetta “bebolucija”, la protesta diretta l’anno scorso contro la classe politica per la sua incapacità di tutelare i diritti dei nuovi nati, o di altri movimenti affacciatisi alla scena negli anni precedenti, come quello nato a seguito dell’uccisione di Denis, uno studente, avvenuta a Sarajevo nel 2008, o di Vedran, tifoso dell’FK Sarajevo, avvenuta a Široki Brijeg. In quel caso, però, si trattava di movimenti per lo più urbani, con una forte connotazione sarajevese. Ora tutto il Paese sembra in rivolta, e la rabbia più forte.lease enable JavaScript to view the comments powered by Disqus.

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