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La cultura della pace e l’opposizione alla guerra

Perché non impariamo mai nulla?

Dopo il 1989 è iniziata un’altra storia. In molti avevamo immaginato che avrebbe potuto rappresentare la fine dell’equilibrio del terrore e di una deterrenza che aveva riempito gli arsenali tanto che per la prima volta il pericolo di un’implosione del pianeta non era un’ipotesi fantascientifica. Invece le cose andarono diversamente. Si aprì il tempo delle "nuove guerre", dall’Iraq alla Somalia, dai Balcani al Caucaso, dall’Afghanistan alla Libia. Coalizioni internazionali e guerre realizzate in nome della pace e della civiltà, ma che in nessuno di questi luoghi ha prodotto pace, democrazia e stabilità. Guerre che, al contrario, hanno lasciato una scia di odio e rancore, fatto emergere fondamentalismi e poteri mafiosi. Aggravando situazioni di conflitto che si trascinano da decenni, come in Israele/Palestina o in Libano.

Come non comprendere che pace, diritti umani, democrazia non si costruiscono e tanto meno esportano con l’uso della forza? Che questa strategia, al contrario, ha allargato i confini dell’insicurezza, del terrorismo e dei poteri criminali?

Guerra e pace

Di fronte alla guerra il mondo si divide. Da una parte chi pensa che la guerra sia la strada per la risoluzione delle controversie, partendo dal presupposto (infondato) che la ragione stia dalla parte del più forte. Qui si riconoscono i grandi interessi finanziari e l’industria bellica, ma anche chi dalla destabilizzazione (e dalla deregolazione) sa trarre profitto. Qui si collocano gli "interessi non negoziabili", ma anche la retorica della difesa della (propria) civiltà. Il nemico è di volta in volta assimilato al male, ma anche all’altro da sé, vissuto come insidia, in sottrazione.

Dall’altra, all’opposto, chi pensa che la guerra sia una strada senza ritorno. Generando perdita di vite, distruzione, imbarbarimento di relazioni e comportamenti. E che quindi sia necessario far tacere le armi in nome della ragione, nella convinzione che la guerra (anche quella "umanitaria", l’orrendo ossimoro coniato con le "nuove guerre") sia comunque una tragedia che non fa che dar fiato (e fiumi di denaro) ai poteri che l’agiscono. Sono i pacifisti, le anime belle che scendono nelle strade per dire "no alla guerra", ma anche la Chiesa di Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco nel loro accorato "mai più guerre". Se devo scegliere dove stare, non ho dubbi. La mia
collocazione sta da questa parte.

Credo però che questo schema, che ormai si ripete come uno stanco rituale di fronte alle tante situazioni di crisi, non sia più accettabile. Non per il venir meno delle ragioni della pace, che invece sono più che mai attuali. Ma perché non ci sto ad immaginare l’impegno per la pace come risposta alle situazioni di guerra. Non ci sto ad essere una comparsa che i militarismi hanno messo in conto. In altre parole, la pace non può essere subalterna alla guerra.

E non solo perché di fronte allo sferragliare dei carri o al sibilo dei missili teleguidati di guerre sempre più tecnologiche lo spazio per la mediazione politica svanisce, c’è solo chi ha ragione e chi ha torto (ovviamente a partire dalla ragione della forza). La guerra, ci siamo detti mille volte, disumanizza l’avversario e così le distanze diventano abissi.

Ma anche perché l’alternativa alla guerra non è il pacifismo di maniera, bensì la costruzione della pace. La pace come cultura politica ed istituzionale, la pace come costruzione di relazioni e di conoscenza, la pace come modello di sviluppo che si fa carico della limitatezza delle risorse, la pace come comportamento quotidiano e stile di vita. La pace è anche ricerca e quel lavoro, impegnativo e doloroso, di indagine sulla guerra, su quel "terribile amore per la guerra" di cui parlava James Hillman nel descrivere il comportamento che insieme onora Ares (il dio della guerra) e Afrodite (la dea dell’amore).

E’ quel che abbiamo cercato di fare come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani negli ultimi anni: stare nei conflitti per comprenderli e contribuire ad una loro evoluzione nonviolenta, indagare le parole per restituirle significato.

Le primavere inascoltate

Nelle antiche città siriane per quasi due anni decine di migliaia di persone hanno manifestato per la libertà, per la democrazia, per la dignità. Lo hanno fatto in maniera nonviolenta, nonostante la forte repressione del regime di Bashar al Assad.

Da questa parte del mare che cosa si è fatto per sostenere le primavere? Sono state guardate con sospetto, perché in fondo la democrazia forse dava più preoccupazione dei regimi, con i quali gli affari andavano a gonfie vele. Compresa l’Italia, principale esportatore europeo di armi verso la Siria. Lasciando che il conflitto degenerasse e che i protagonisti diventassero i signori della guerra, quelli della casta militare al potere come quelli legati al fondamentalismo saudita.

Avremmo dovuto lavorare per costruire ponti, dar voce agli intellettuali e alla cultura, incrociare gli sguardi con i giovani protagonisti delle primavere. Relazioni e cultura, questa era la chiave della pace e noi ci abbiamo provato. Ora purtroppo non ci resta che dire "Fermatevi, perché guerra chiama guerra". Sperando di non fare le comparse di un tragico film già visto.

Michele Nardelli è Presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani

6 Comments

  1. Simone ha detto:

    Caro Michele, il tuo intervento è molto profodno e appropriato. Hai fatto bene a ricollegare nozioni storiche e analisi di un presente che ci vede purtroppo sempre in seconda fila nelle cose da fare. Un abbraccio. Simone

  2. Roberto Devigili ha detto:

    Bene, grazie.
    Roberto

  3. Marisa Vertemati ha detto:

    Grazie Michele, bellissimo articolo che condivido fino in fondo. Mettiamo però in piedi iniziative per far sentire queste idee, non contro Obama che appare tormentato ma che sente il peso di fare qualcosa per non girarsi dall’altra parte davanti alla tragedia Siriana, aiutiamo Obama a fare la scelta giusta, manifestando l’idea di un intervento diverso, non delle armi ma del negoziato e/o di sanzioni diverse contro chi mette in atto atrocità. Ciao.
    Marisa Vertemati

  4. Giorgio Santomaso ha detto:

    Caro Michele

    ho letto ora il tuo articolo, molto interessante anche per il breve escursus storico sulla Siria, di cui avevi già parlato nell’editoriale del 2 settembre.
    Ti rispondo velocemente sul punto “Perché non impariamo mai niente?”, dandoti una mia breve considerazione, su quello che può essere
    l’orientamento generale dell’opinione pubblica.
    A livello di opinione pubblica, secondo me, non impariamo mai nulla perché non conosciamo bene i meccanismi che portano alla guerra, a livello governativo di grandi potenze mondiali (USA, GB, Francia, Russia, etc), di grandi lobbies del complesso industriale-militare, come lo ha definito Eisenhower nel lontano 1961.La guerra, (secondo me), è decisa da dalle elite, creando sempre dei
    pretesti fittizi per intervenire nei conflitti. Leggendo qua e là, si ricava che l’America è entrata in guerra nella prima guerra mondiale, in seguito all’affondamento della mnave Lusitania; nella seconda guerra, in seguito all’attacco di Pearl Harbour; in Vietnam per l’affondamento di una nave militare nel Golfo del Tonkino. La guerra in Afghanistan e in
    Iraq, sappiamo (si fa per dire), da cosa è partita. Adesso in Siria, si vuole andare con il pretesto che è stato usato il Sarin da parte di Al Assad. Ma ne siamo veramente sicuri? Da qualche articolo, poco
    pubblicizzato, sembrerebbe anche di no. Oltre da considerazioni di puro buon senso.
    http://www.tempi.it/siria-ribelli-armi-chimiche-ghouta-reportage#.Ui1q-MapVAV
    Ma tutti questi meccanismi sono ancora poco conosciuti secondo me. E’ per quello che non c’è ancora molta rivolta, nella popolazione del mondo
    nei confronti della guerra. E mi fermo qua.
    Dal mio punto di vista, c’è molto da approfondire, anche sui meccanismi delle primavere arabe. Il dubbio è questo, banalizzano e semplificando tantissimo, lo so: spontanei movimenti di popolo, oppure costruiti e
    finanziati dall’esterno, tipo da grossi miliardari come Soros?
    Rimane, tra i miei infiniti dubbi, quello riguardante il dittatore al Assad: si scopre negli ultimi due anni che è un sanguinario dittatore, dopo che ad esempio, poco più di tre anni fa (marzo 2010) il nostro Presidente della Repubblica, andava in visita in Siria, inneggiando alla civiltà di un popolo, considerato paladino della convivenza di culture,
    etnie, religioni diverse, governato da una persona illuminata. Improvvisamente, questo si trasforma, in un tiranno criminale? Boh, ci sono molte cose che non capisco.
    https://www.youtube.com/watch?v=kh453Ilh19Q
    So solo che attendo trepidante, le decisioni di Obama di domani, che nelle sue ultime parole, da molti giorni in qua, non mi pare molto conciliante.
    Se sarà di nuovo guerra, allora sì che non impariamo mai nulla.
    Grazie
    Buona giornata
    Giorgio

  5. Sara Maino ha detto:

    ciao Michele, bell’articolo, ti ringrazio e lo condivido. Da sempre ho desiderato recarmi ad Aleppo per delle ricerche sulla musica liturgica: ci sono, mi dicevano, nel raggio di un km2 una chiesa armena, una ortodossa, la sinagoga e la moschea in una atmosfera pacifica, intensa, bellissima; un posto speciale come pochi altri luoghi al mondo. Non so cosa sia rimasto ora.

    Vorrei segnalarti questo:
    http://www.notiziarionline.com/2012/07/20/vi-racconto-cosa-sta-accadendo-in-siria-e-perche-in-italia-non-viene-detta-la-verita-a-colloquio-con-mimmo-srour-siriano/

    che mi ha fatto aprire un po’ gli occhi.

    Come possiamo uscire da quest’impotenza? Come possiamo fermare un processo che ci appare ineluttabile? Non so se hai letto i commenti in fondo all’articolo… che cosa possiamo fare qui in Trentino, noi?

    C’ero in piazza nel 1990, a Trento, durante la veglia per ‘fermare’ la prima Guerra nel Golfo. Avevo 20 anni. Ero spaventata, non avevo mai sentito parlare di guerra se non dalle persone anziane. Era il primo conflitto che sentivo sulla mia pelle. Poi sono arrivati i Balcani. E un senso di oppressione scuro, latente, accanto alla vita di ogni giorno, per tutti gli anni del conflitto.

    Scusami, ti ringrazio
    Sara

  6. Federica ha detto:

    Grazie, Michele.
    Hai dato voce a quello che pensiamo/sentiamo in tanti. Fai bene a partire da Damasco (e Baghdad, e Gerusalemme) come se la nostra storia stesse precipitando al contrario. Un razzo di civiltà che ha invertito la rotta.
    Purtroppo resta l’amarezza (l’angoscia, anzi, più un senso di colpa) di non avere altro spazio che quello di comparse che soffrono.
    Un abbraccio
    Federica