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A conclusione di questa legislatura, non posso nascondere l’imbarazzo politico che ho provato nel partecipare ai lavori del Consiglio regionale, ovvero di un’istituzione che, così com’è, ha fatto il suo tempo e che richiede di essere radicalmente ripensata. Quindi, bene che se ne parli.

Vorrei innanzitutto provare a tracciare il filo conduttore del confronto avviato in questi mesi, che unisce il voto che abbiamo espresso pochi minuti fa sul principio dell’intesa, la proposta della "Convenzione" come metodo per mettere mano allo Statuto di autonomia, ovvero il carattere non esaustivo che in questo confronto debbano avere le istituzioni provinciali, regionali e statuali attraverso il coinvolgimento del tessuto sociale in un processo di modifica dello Statuto di autonomia che assume natura costituente. In questo senso ci sembra doveroso che sia la Regione l’elemento che si avvale in particolare del principio della convenzione, piuttosto che le due province autonome.

Il terzo nodo di questo filo conduttore dopo l’intesa e la convenzione, è rappresentato dal progetto di autonomia integrale, ovvero il passaggio delle competenze che sono ancora in capo alla Regione o per altri versi allo Stato alle due comunità autonome provinciali.

In questo quadro si pone la necessità di dare corpo al progetto di Terzo Statuto, un progetto che dovrà essere necessariamente all’insegna dell’Europa, ovvero il rilancio dell’idea fondativa dell’Europa, quell’Europa delle regioni di cui parlavano gli autori del manifesto di Ventotene. Le euro regioni, oltre ad essere diventate una realtà, possono rappresentare la mappa per ripensare l’Europa, processo che a mio avviso deve vedere una forte accelerazione, immaginando geografie variabili come quella alpina, che però non devono diventare nuove aree statuali (com’è nel disegno della Lega) ma aree di confronto e di iniziativa politica che evitino i difetti delle istituzioni maggiori laddove, ad esempio, è la pianura a governare la montagna.

L’idea della regione dolomitica va in questa direzione. Non posso non fare un accenno al dibattito che è nato in questi mesi sull’abolizione della provincia di Belluno che rappresenta un vulnus grave, perché la cancellazione centralistica di quella provincia ha posto non soltanto un problema di assenza di un’istituzione di autogoverno per quanto riguarda la comunità bellunese, ma ha anche dimostrato quanto fragili siano le nostre stesse istituzioni autonomistiche all’interno di uno Stato che tende continuamente ad avere rigurgiti di tipo centralistico.

In questo quadro velocemente descritto, quale ruolo è immaginabile per la Regione? Noi pensiamo ad un nuovo ruolo politico, non all’abolizione della Regione. Un ruolo di coordinamento progettuale dentro una prospettiva europea. Non un ruolo minore, ma un ruolo diverso.

È necessario a mio modo di vedere – ed è questo il concetto che sta alla base della proposta dell’autonomia integrale – togliere di mezzo l’equivoco che è rappresentato dalle competenze residuali che ancora permangono in capo alla Regione. Il consigliere Morandini ieri, nella sua polemica nei confronti della parte italiana che sostiene la proposta di autonomia integrale, si chiedeva quale fosse il profilo del Partito Democratico, tanto da scomodare perfino i padri nobili del Partito Comunista di questa nostra terra.

Vorrei dire al consigliere Morandini che il PD, almeno sotto questo profilo, è un’altra storia. Le nostre fondamenta non sono riconducibili al regionalismo o al decentramento regionale che era l’approccio politico dell’allora Partito Comunista. Il nostro punto di riferimento è piuttosto il federalismo di Giustizia e Libertà, un federalismo che puntava sull’autogoverno dei territori, quel pensiero eretico schiacciato dalle grandi vulgate del Novecento, tanto quella comunista quanto quella democratico cristiana.

Di questo perché la riflessione sul Novecento può effettivamente aiutarci ad intraprendere con i sudtirolesi e le loro rappresentazioni politiche un dibattito vero. Non è soltanto il problema di riconoscere il torto subìto durante il fascismo, è anche la necessità di riflettere attorno all’affronto subito con il primo Statuto di Autonomia, dove la maggioranza tedesca del Südtirol diventava minoranza tedesca dentro la Regione Trentino Alto-Adige-Südtirol.

Tornando a noi, se non togliamo di mezzo l’equivoco di una Regione che sottrae competenze all’autogoverno, quand’anche residuali, il vulnus operato nel secondo dopoguerra rimarrà tale ed impedirà quel processo di elaborazione del conflitto che ha segnato la questione sudtirolese. Sbarazzare il campo dalla questione delle competenze in capo alla Regione, ragionare nella direzione dell’autonomia integrale delle due Province e poi immaginare la filosofia del terzo Statuto di autonomia nell’orizzonte dell’Europa delle regioni.

Allora, mettere insieme il tema dell’intesa, la proposta della convenzione, il progetto dell’autonomia integrale, la questione del terzo Statuto e un nuovo ruolo per la Regione diventa un grande disegno politico che deve essere condiviso sia in Südtirol – Alto Adige che in Trentino. Per questa ragione non abbiamo condiviso la scelta della SVP di presentare in maniera unilaterale questa proposta di riforma, pur condividendo personalmente il nucleo essenziale della proposta.

Per questo diciamo alla SVP che deve incominciare a fidarsi di noi, perché da un lato è nostra intenzione di sbarazzare il campo dalle furbizie che hanno segnato la nascita dell’autonomia regionale e, insieme, affrontare di petto la questione, attraverso un processo condiviso che vada nella direzione dell’autonomia integrale in chiave europea".

1 Comment

  1. Pippo ha detto:

    Caro Michele, condivido tutto anche le critiche al “metodo” usato da Zeller e Berger… I nostri “fratelli” del Sudtirolo, però, rimangono tali anche quando sbagliano… Nella polemica sulla toponomastica ad esempio, e l’accusa per loro di eccessiva rigidità, occorre tener conto che il fascista Tolomei era arrivato a tradurre, oltre che inventare toponimi, anche i cognomi sulle lapidi nei cimiteri… Non aggiungo altro.