Egitto, Brasile, Turchia…
3 Luglio 2013F35. Un conflitto istituzionale
4 Luglio 2013Da tali frasi capiamo che: la conoscenza non coincide solo con il sapere dichiarativo (come la fisica, l’economia e così via); esiste una dimensione del sapere che difficilmente può essere appresa leggendo libri; la conoscenza è poca cosa se è disgiunta dalle visioni del mondo, ovvero dai valori che ogni uomo e ogni comunità esprime; i processi formativi sono efficaci solo se poggiano su uno scambio reciproco.
Le raccomandazioni dell’Unione europea del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008, volte a gettare le basi del sistema comunitario della formazione permanente, ci dicono che i processi formativi devono mirare a far apprendere non solo conoscenze ma anche abilità e competenze. Esempio delle prime è la capacità di risolvere problemi; esempio delle seconde è la padronanza degli atteggiamenti da tenere.
A tali principi si uniforma anche la recentissima legge provinciale sulla certificazione delle competenze con cui si valorizza – accanto all’apprendimento di tipo «formale» che si attua nelle scuole e nelle università – anche quelli "non formali" oppure "informali" (alla stessa logica è ispirato, a livello nazionale, il decreto legislativo 13 del 13 gennaio 2013).
Quanto appena descritto altro non è che l’approdo naturale delle idee citate all’inizio. Qualcuno tratta con sufficienza il cosiddetto "sapere pratico". Ma ne comprendiamo meglio l’utilità se lo definiamo "sapere esperto": si è talmente padroni di un sapere dichiarativo da essere in grado di utilizzarlo per fare delle cose essendo consapevoli del che cosa significhi farlo.
Insegno all’università e rivendico l’importanza degli apprendimenti formali. Sono però altrettanto convinto della necessità che tutti i processi formativi (compreso quello universitario) debbano far apprendere, insieme al sapere, anche abilità e competenze. Semmai occorre interrogarsi sul come questo può avvenire.
Dalla famosa immagine del sacerdote toscano che parla ai ragazzi seduti intorno a un tavolo (lezione non cattedratica) e dal fatto che «Lettera a una professoressa» fu scritta dagli stessi studenti (imparare facendo) si possono ricavare altri esempi dell’attualità di Don Milani.