Extra muros
4 Novembre 2013Il vicino oriente e la follia che si sta preparando
4 Novembre 2013Cara Europa,
ciò che sta avvenendo in questi giorni non riguarda solo Israele e una prigione a cielo aperto che ospita più di quattromila persone per ogni chilometro quadrato. Basterebbe già questo per non rimanere in silenzio. Siamo di fronte ad una possibile evoluzione bellica che coinvolgerebbe una grossa fetta del Medio Oriente. Egitto, Giordania, Libano. Per non parlare di Iran e Siria. Uno scenario non auspicabile, un contesto diametralmente opposto al clima di speranze che la Primavera Araba ci aveva fatto assaporare. Un ritorno alla realtà, una doccia gelata che si somma alla tragica quotidianità – oggi colpevolmente taciuta – del fronte siriano. Un allarme rosso che presuppone un tuo interrogarti sul ruolo che vuoi ricoprire – come unione di Stati e come comunità di cittadini – in questa fetta di mondo. Un ragionamento che parte dal tuo passato, e dal sanguinoso Novecento che hai vissuto, e termina nel futuro che vorrai immaginare per te.
Cara Europa,
non ti chiedo di prendere posizione (lo stare da una parte o dall’altra è esercizio retorico e figlio di vecchi schemi ormai saltati, benché in questi giorni nessuno si sia sottratto dallo schierarsi da una parte o dall’altra) e nemmeno di minacciare azioni solitarie che non ti potresti permettere e che non risulterebbero nemmeno efficaci. Ti chiedo di riflettere attentamente, finalmente in maniera unitaria, sulla tua storia democratica. Una storia lunga, fatta di importanti conquiste e di qualche inciampo, e che ad oggi rappresenta l’unico patrimonio che, anche in un periodo così complesso e contraddittorio, puoi cercare di mettere a valore. Cosa aspetti ad essere tu protagonista di un processo di pace che non riguardi solo israeliani e palestinesi, ma l’intera area mediterranea? Perché non provi ad essere capofila di un grande discorso (possibilmente seguito dai fatti…) sul disarmo di questi territori? E’ un compito difficile? Ma cosa c’è di facile oggi, oltre al rimanere immobili – con le proprie convinzioni e le proprie semplificazioni autoassolutorie – ad osservare il mondo che si muove attorno, non certo nella giusta direzione? Serve in questi momenti quel miscuglio di prudenza e abbandono che chiamano coraggio.
Cara Europa,
rileggere il passato a volte fa bene. Guardarsi indietro significa verificare i propri passi, mettere a verifica il proprio percorso, interpretare le precedenti tappe. Il secolo scorso e i suoi lati oscuri hanno bisogno di un’interpretazione autentica e di una lettura non banale né retorica. Le due guerre mondiali, i campi di concentramento e i gulag, la bomba atomica. E ancora la creazione dello stato d’Israele come esternalizzazione di un "problema" nato dentro i tuoi confini e i rapporti politici ed economici intrattenuti con questo o quel dittatore nell’area del Medio Oriente. La tragedia balcanica, Sarajevo e Srebrenica. E ancora l’inizio del nuovo secolo, caratterizzato dalle guerre in Iraq e in Afghanistan, e dall’apertura di nuovi fronti internazionali di conflitto. Le migrazioni che da queste guerre, e dalle diseguaglianze economiche e sociali, si sono sviluppate e tu fatichi ancora oggi a gestire con politche appropriate. Saper riflettere su ognuno di questi avvenimenti ricercando una verità condivisa significa dotarsi di nuovi strumenti per immaginare un’uscita di pace dal vicolo cieco in cui si dibatte da anni il conflitto israelo-palestinese. E non solo.
Cara Europa,
mi auguro tu possa alzare lo sguardo oltre le discussioni che attraversano le tue piazze in questo periodo difficile, oltre l’austerity e il patto di stabilità. Oltre la ragioneria e dentro i nodi spinosi della politica. Oltre anche le frasi di circostanza che si usano spesso per commentare ciò che ti succede attorno. E’ il momento, e potrebbero non essercene molti altri in futuro, di diventare cuore pulsante della prospettiva di un mondo diverso, di essere protagonista di una nuova fondamentale fase nei rapporti internazionali e nella mediazione di conflitti di portata mondiale. Dal Medio Oriente e dalla valorizzazione del portato di libertà e novità della Primavera Araba dipende molto di un possibile processo democratico a livello internazionale.
Cara Europa,
non ti chiederò di restituire il Nobel per la Pace come oggi fanno in molti. Ti chiedo invece di utilizzarlo, di renderlo strumento concreto nella costruzione di un futuro di pace nel Medio Oriente. Come? Perché non portare quel premio nei luoghi del conflitto, a Gaza come ad Hebron, Ramallah, Gerusalemme, Tel Aviv, Sderot. Come garanzia sul rispetto di una tregua, come punto di partenza di un dialogo tutto da costruire. E perchè non essere promotrice di un ampio progetto di disarmo, magari partendo dalla creazione di un esercito europeo con la rinuncia all’acquisto di nuovi armamenti e da un investimento corposo nella promozione delle cultura della pace?
Cara Europa, attendo tue notizie e rimango fiducioso per un tuo luminoso domani.
Tratto da www.pontidivista.wordpress.com
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