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La situazione odierna, in cui la globalizzazione e le dinamiche europee (delineate dai precedenti interventi) modificano la composizione sociale anche di terre riposte come il Trentino, ci chiama a problemi di ardua soluzione, connessi alla sostenibilità del nostro benessere e al perdurare del nostro modello sociale. Il passato non può essere semplicemente contemplato o conservato, ma reinterpretato con originalità. Sono due le principali domande che necessitano di una risposta il più possibile condivisa: quale sarà il modello sociale trentino del futuro? Riuscirà la nostra autonomia a produrre ricchezza?

È evidente che il fenomeno migratorio intercetta ambedue le questioni e si trova al crocevia delle scelte decisive che ci aspettano. I dati di fatto ci parlano di un Trentino che, a differenza delle regioni limitrofe, non solo è già multietnico, ma che è riuscito a realizzare almeno in parte un’integrazione non solo di parole. Una tradizione cattolica aperta, ossigenata dagli scambi con i missionari, ha sostenuto una strategia inclusiva, condivisa dalla maggioranza della popolazione e quindi della dirigenza politica. Fantasmi xenofobi sono però sempre in agguato. Il tema del futuro sarà l’integrazione dei nuovi trentini nel lavoro e nella produzione di reddito, offrendo non solo manovalanza per quei mestieri che gli autoctoni non fanno più, ma anche inventiva, cultura, energia, voglia di miglioramento.

Alcuni dati economici

La crisi economica ha colpito pesantemente anche la manodopera straniera, compresi i lavoratori stagionali di cui fino a ieri gli immigrati, anche solo per alcuni mesi, erano la stragrande maggioranza. Ecco alcuni dati. Secondo il Servizio lavoro della Provincia di Trento, rispetto allo stesso periodo del 2011, i cittadini extracomunitari impiegati nell’agricoltura sono calati del 25%, nel turismo estivo l’oscillazione è invece del -21,8%. Anche per la vendemmia e la raccolta delle mele i lavoratori non comunitari diminuiscono dell’11%.

I lavoratori in arrivo dai Paesi extraeuropei sono in diminuzione. Attualmente le richieste elaborate dal Servizio lavoro di Piazza Dante sono 1.800. Quanto alle nazionalità della forza lavoro in arrivo, il primato resta all’Est Europa, in particolare Moldavia, Serbia, Albania. In picchiata, invece, gli operai africani.

Si potrebbe dedurne che il mercato del lavoro è già saturo per gli stranieri e che quindi non è possibile un ulteriore flusso migratorio. Se guardiamo con attenzione non è così, anzi la presenza straniera è un fattore di crescita economica. Guardando al nord-est, secondo una ricerca dell’aprile scorso contenuta nel Rapporto Annuale sull’Economia dell’Immigrazione

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