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Intorno alla politica e ai privilegi

Questo avviene a prescindere dalla regola che ci siamo dati come PD del Trentino di destinare il 20% dell’indennità dei consiglieri provinciali all’attività del partito e dalla scelta di chi, come il sottoscritto, ha deciso, sin dall’avvio di questo mandato, di destinare un altro 30% della propria indennità per sostenere forme partecipative e
associative.

Un bel segnale, dunque. Ma su tutta questa vicenda dei costi della politica vorrei proporre qualche spunto di riflessione.

Il primo riguarda il rapporto fra i cittadini e le istituzioni. Il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento è composto da 35 consiglieri. Il lavoro e le scelte che costoro sono chiamati a svolgere e ad assumere investe un bilancio annuale nell’ordine dei 4/5 miliardi di euro, attraverso un quadro di competenze non lontano dall’autonomia integrale. Il che significa che il quadro di responsabilità legislative è analogo a quello di un Parlamento. Non è facile stabilire quale dovrebbe essere l’indennità per questo lavoro, ma credo sia giusto riconoscerne il valore, mettendo invece in discussione ogni privilegio. Ed è proprio contro i privilegi della politica che, allora come Solidarietà,
nei primi anni ’90 iniziammo una battaglia che nel tempo ha dato i suoi frutti. Il significato di tutto questo è chiaro: la politica non può diventare ragione di arricchimento per nessuno.

Secondo spunto. Lo dico sommessamente, ma ero piuttosto scettico sulla possibilità di arrivare nel corso di questa legislatura ad un accordo fra le rappresentanze consiliari per una riforma organica delle indennità. Perché l’atto politico votato ieri dal Consiglio regionale rappresenta una vera e propria riforma che a regime determinerà una consistente riduzione dei costi delle istituzioni. Invece il Consiglio Regionale è riuscito a battere un colpo. L’aver insistito sulla necessità di dare un segnale chiaro all’opinione pubblica, alla fine ci ha permesso di portare a casa un nuovo importante risultato dopo quello realizzato nella scorsa legislatura sui vitalizi. Non si pensi che tutto questo sia solo il risultato della pressione della gente o dei media. Perché questa c’è stata anche in altri contesti regionali, eppure rimaniamo pressoché l’unica realtà italiana ad aver compiuto una scelta complessivamente così significativa.

Terza osservazione. In questi giorni le cronache ci parlano di "Batman", l’ormai ex capogruppo PDL alla Regione Lazio, dei suoi conti correnti, dei suv, degli appannaggi destinati ai gruppi consiliari. C’è da rimanere allibiti e le vane parole della presidente Polverini suonano solo come un tardivo tentativo di non essere travolta dallo scandalo. Vorrei però osservare come questi personaggi non siano arrivati lì per caso: Batman-Fiorito è stato eletto nella circoscrizione di Frosinone con 26.217 preferenze. Si sono sbagliati a votare? Niente affatto, questi personaggii sono lo specchio del marcio che c’è nella società e di come il berlusconismo non sia affatto un capitolo archiviato nella storia italiana. Se non ci interroghiamo su quel che è avvenuto in questo paese con la cosiddetta seconda repubblica, non solo in termini di scasso istituzionale, ma nel cuore della società, nello spaesamento diffuso, nell’affermarsi di disvalori, nel processo di atomizzazione sociale e nella solitudine che ne viene, nel degrado culturale e morale cui abbiamo assistito (e che non riguarda solo il centrodestra), non ne verremo mai a capo.

E qui arrivo ad un’ ultima considerazione. I costi della politica dovrebbero riguardare anche la sua qualità. Nel venir meno dei corpi intermedi, salta anche il meccanismo di selezione della classe dirigente. Un tempo avremmo detto, la gavetta. Più propriamente, i luoghi formativi. Badate bene, non parlo tanto delle scuole di partito, ma dei luoghi del confronto e della ricerca sociale e politica. Lo studio e la conoscenza della realtà, la cui narrazione oggi sembra scomparsa nella ricerca del messaggio ad effetto e nella personalizzazione della politica. Eppure di mettere a fuoco quel che accade sul piano dei cambiamenti negli ecosistemi, dei poteri finanziari, dei moderni conflitti… ne avremmo bisogno come il pane.

Il tema è l’elaborazione del proprio tempo, come necessità che la storia insegni qualcosa. La mia generazione dovrebbe comprendere la bellezza del passare la mano. Altro che rottamazione. Per questo servono ambiti collettivi, luoghi di parola. Possono essere i partiti (oggi spesso ridotti a comitati elettorali), ma non solo. Il problema investe tutti i corpi intermedi fra il singolo cittadino e le istituzioni. Che dovrebbero interrogarsi, piuttosto che cercare di sopravvivere a se stessi o di rincorrere gli umori. E investe le stesse istituzioni, i sistemi formativi come i processi di apprendimento permanente e di (ri)motivazione delle persone.

Voglio dire che nella polvere di questo tempo, il feticismo delle regole (e delle primarie) rischia di farci deragliare. Dove prevale il più furbo, non le idee che richiedono invece di essere coltivate con cura, lì si fa largo il privilegio.

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