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Un pensiero di solidarietà alla Sardegna

E fallimentare. Potremmo infatti raccontare la storia moderna della Sardegna attraverso il delirio degli insediamenti industriali e militari. I poli petrolchimici del nord e dell’interno (Porto Torres, Ottana), le enormi raffinerie Saras (quella dei Moratti, per capirci) nella zona di Sarroch (Cagliari), i poli industriali di Macchiareddu-Grogastu e quello siderurgico di Portovesme nel Sulcis. L’industria mineraria con gli insediamenti prima sfruttati e poi usati come discariche, a Genna Luas dove vengono smaltiti gli scarichi di Portovesme o nel Campidano dove le miniere d’oro hanno lasciato dietro di sé un presente al cianuro… E poi le basi militari più grandi d’Europa. Teulada (7.200 ettari), usata per esercitazioni aeree ed aeronavali della Nato e della Sesta flotta (tiro contro costa). Decimomannu, il più grande aeroporto della Nato che occupa una superficie grande come tre areoporti civili. Salto di Quirra, comprendente poligoni missilistici sperimentali e di addestramento interforze che si estende per 12.700 ettari lungo la costa fino a Capo San Lorenzo. Il poligono di tiro della Nato a Capo Frasca (1.416 ettari). La base della Maddalena dove si appoggiavano i sommergibili nucleari USA senza nemmeno che né il Parlamento, né l’autonomia regionale ne sapesse nulla. Tratti di costa spettacolari, come quelli venduti a quattro soldi ai ricchi del continente o devastati dalla speculazione edilizia.

Un modello che non va difeso, bensì cambiato. Questo è il mio messaggio di solidarietà alla Sardegna. Questo andrebbe detto, onestamente, ai lavoratori che cercano di tutelare il loro futuro. Perché quel modello non ha futuro e perché la Sardegna potrebbe vivere della sua unicità, della sua bellezza, della sua cultura. Un turismo capace di valorizzare il territorio, la sua collocazione geografica, la storia e i saperi materiali dell’agricoltura e della pastorizia che si trasformano in formaggio, dolci, vino… prodotti che dei luoghi conservano lo straordinario profumo. Un artigianato e un’industria che sia legata alle vocazioni di questa terra. Un’idea di futuro che Renato Soru aveva cominciato ad immaginare ma che si è infranta di fronte a vecchie e trasversali culture. Quelle stesse che hanno fatto finta di non vedere l’uranio impoverito, il cianuro o la cementificazione selvaggia, scambiandole per sviluppo.

Certo, fra un modello e l’altro il passaggio non è facile, occorre una fase di transizione,
nella quale il lavoro dovrebbe venire dall’attività di riconversione, bonifica e rivalorizzazione delle risorse vere della Sardegna. Un piano che andrebbe finanziato dallo Stato come "risarcimento nazionale" e gestito attraverso nuove e più ampie prerogative di un’autonomia che in questa terra non è mai diventata autogoverno.

La Sardegna può vivere della propria terra. Questo voglio dire ai lavoratori che in questi mesi hanno fatto la spola con il continente pensando di ricavarne una speranza di futuro.

2 Comments

  1. Marco Pontoni ha detto:

    Un modello di sviluppo insostenibile. Con i dovuti distinguo, vale anche per Taranto, credo. Comunque sia, nessuno a Bolzano si è incatenato quando hanno chiuso fabbriche storiche come la Magnesio (o quando le stesse Acciaierie, nelle quali mio padre ha lavorato una vita, sono state fortemente ridimensionate). Bisognerebbe avere il coraggio (che l’Italia nel caso Sulcis ha dimostrato di NON avere fin dagli anni ’90) di guardare oltre.

  2. Salvatore Dui ha detto:

    A quasi sessanta dalla promulgazione della Autonomia Speciale della Sardegna, una politica miope e irresponsabile – vedasi le risorse mal sfruttate del Primo piano di rinascita del 1962, 400 miliardi di lire di allora, ha prodotto una situazione disastrosa. Credo che occorra governare i processi futuri investendo in modo oculato su ricerca e scuola, per frenare la nuova ondata di emigrazione, soprattutto giovanile. Recuperare i territori dell’interno, ricchi di biodiversità uniche al mondo, proteggendo al contempo un ambiente fragile. Offrire, perchè no, una sorta di passaggio a quelle popolazioni che i sommovimenti del nord del Continente africano, risultato delle cosiddette primavere arabe purtroppo non ancora arrivate a compimento. Insomma una Sardegna più europea ma con lo sguardo rivolto anche a sud, dove altri fratelli di questa umanità, cercano anch’essi un futuro di speranza.
    Promuovere un turismo responsabile e sostenibile affinchè la visita a uno dei luoghi più belli del Mediterraneo ci renda davvero consapevoli che la Sardegna è un’unica e meravigliosa risorsa.
    Grazie per l’attenzione.