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Un atto di responsabilità, guardando all’autunno

Nelle ultime ore aveva preso consistenza la proposta che insieme ad altri avevo avanzato, ovvero di azzerare le candidature sul tappeto e di indicare tre figure di area di riconosciuto profilo. Una proposta che avrebbe sparigliato la situazione, permesso l’emergere di candidature femminili, favorito la dimensione coalizionale anche in vista delle scadenze di autunno.

Richiedeva che venissero meno la rigidità che in questi giorni non ci hanno certo aiutati a trovare una soluzione e che il PD nazionale si fosse fatto carico di indicare a Giorgio Tonini, figura rappresentativa di una sensibilità politica nazionale, un altro collegio in una diversa Regione. Il partito nazionale non ci ha affatto aiutati, come non ci hanno aiutati le rigidità locali. Non ha giovato l’orientamento assunto nell’assemblea di domenica scorsa a Trento che – incautamente – questa rigidità aveva fatta propria. Come non hanno aiutato le analoghe rigidità che sono emerse anche negli altri partner, evidenziando in questo una sorta di autismo autoreferenziale dei luoghi della politica che non possiamo più eludere.

Il risultato conclusivo è diverso da quello che abbiamo auspicato in molti ma almeno l’unità della coalizione è salvaguardata. Andare divisi sarebbe stato a dir poco disastroso e avrebbe aperto un solco incolmabile di qui a settembre. Rimangono però intatte le contraddizioni e i limiti di cultura politica che si sono evidenziate in questa vicenda, tanto sul piano di una cultura coalizionale tutta da coltivare, quanto sulla necessità di impostare il confronto non sulla base del reciproco interesse ma a partire dala verifica di un sentire comune.

Ora si tratta di vincerle queste elezioni, senza mettere via nulla ma nella consapevolezza che il fondo del barile non esiste e che sapremo andar oltre solo se non avremo fra i piedi troppe macerie (e, ovviamente, nemmeno Berlusconi).

Passato il 25 febbraio avverto l’esigenza di un chiarimento, di un congresso o di un momento politico forte, che ci aiuti ad affrontare la scadenza di autunno sulla base di una idea condivisa di Trentino, che getti nuove basi per una comunità politica di centrosinista autonomista capace di un profilo alto, che indichi la necessità di un diverso rapporto con il quadro politico nazionale ed europeo.

4 Comments

  1. vengino ha detto:

    …cacchio!!! mi ero quasi convinto di votare PD, almeno al senato. E chi mi fareste votare??? un trittico di baciapile cattolici che quando è ora di votare qualche legge moderna (matrimoni gay, procreazione assistita, ecc…), questi te li ritrovi contro… Non lo so! Non lo so veramente… non credo di avere abbastanza mani per tapparmi il naso e votare, non sentendo la puzza di candele che questi si portano dietro,… non lo so proprio. Michele, ti conoscevo molto più combattivo… vabbè… vedremo…

  2. Michele ha detto:

    Nei commenti sulle candidature relative ai collegi senatoriali non vi leggo animosità, delusione piuttosto. Ed in fondo è anche ciò che provo anch’io. Avevo in cuor mio la speranza che – nonostante l’aridità della politica – ci fosse la capacità di un colpo di reni, nel saper anteporre la ricerca di figure oltre le parti anziché gli interessi personali o di bottega.
    Nonostante negli ultimi giorni la consapevolezza che avremmo dovuto azzerare tutto fosse cresciuta fin quasi ad imporsi, alla fine il coraggio non c’è stato.
    Eppure vorrei che tutti facessimo lo sforzo per comprendere che una eventuale rottura della coalizione che ha fatto del Trentino l’unica regione dell’arco alpino di segno diverso (e dove la qualità del vivere è la più alta fra le regioni italiane) avrebbe avuto ripercussioni disastrose sia perché il governo di centrosinistra rischia di non avere la maggioranza al Senato, sia nella prospettiva di novembre.
    Tutto questo non cancella la delusione per un’occasione perduta e non deve indurci a rinunciare all’imperativo di essere più esigenti e ad imprimere alla coalizione trentina un diverso profilo culturale prima ancora che politico.

  3. Roberto ha detto:

    Condivido l’analisi di “venghino”. Oltre a tutte le motivazioni che tutti i quadri del Pd a vario titolo stanno postando nei blog per convincerci dei perché di questa scelta e del perché dobbiamo votare il triciclo (qualcuno mi sembra avesse provato la bicicletta ma non aveva funzionato) io vorrei capire quale sarà il comportamento di Fravezzi quando in parlamento si dovrà votare a favore delle leggi sui diritti civili. Cosa possiamo pensare di Monti che un giorno si e uno no rassicura la chiesa e Bagnasco che la famiglia è quella di “uomo donna e figlio”, cosa possiamo pensare che dopo le tasse lacrime e sangue oggi dice che si possono abbassare per conquistare l’elettorato sullo stile Berlusconi. Faccio fatica a capire i perché per quanto ci si dica che si doveva tenere un equilibrio per non mandare tutto in aria a novembre. E a novembre ritornerà la stessa cantilena ?? Se perdiamo i senatori la colpa sarà del Pd. Se si vince sarà perchè Patt e Upt anno votato in massa. Manca ancora un mese per chiarire questi aspetti spero che il tuo sempre preciso e serio contributo possa aiutarmi a trovare la forza per condividere la scelta messa in campo.

  4. Michele Nardelli ha detto:

    Potrei cavarmela dicendo che altra avrebbe dovuto essere la strada per giungere all’accordo, altre le scelte delle persone… salvarmi l’anima e aggiungere la mia voce a quella dei tanti che in queste ore mi dicono che abbiamo calato le braghe.
    E invece intendo prendermi la mia parte di responsabilità nel dire a tutti che la politica è anche farsi carico. Non solo, ovviamente. E parto proprio da qui.
    Se in questi anni che ci separano dalla fine del governo Prodi non si è lavorato affinché i nodi che erano all’origine di quella sconfitta non fossero risolti è responsabilità diffusa.
    Ognuno invece ha pensato che la colpa fosse altrui, oppure che il problema fosse riconducibile ai rapporti di forza o, ancora, che la questione riguardasse la rottamazione di una classe dirigente obsoleta.
    La stessa nascita del Partito Democratico, che pure aveva nel cambio di paradigma una delle sue ragion d’essere, ha eluso i nodi di fondo privilegiando l’opposizione a Berlusconi piuttosto che la ricerca di un nuovo pensiero politico.
    Il risultato è che siamo ancora lì, a dire se Vendola è troppo di sinistra o Monti troppo di centro.
    Così possiamo prevedere sin d’ora che, anche in caso di vittoria nelle elezioni di febbraio, i nodi torneranno al pettine più meno come li abbiamo lasciati cinque anni fa.
    Anzi lo sono già, come si è visto nell’estenuante trattativa per le alleanze e per le liste. E non riguarderà solo i diritti civili, investirà il modello di sviluppo, il lavoro, la partecipazione agli interventi militari, le forme di organizzazione dello stato, l’Europa e così via.
    Perché il problema politico irrisolto è che in assenza di elaborazione (del Novecento, tanto per cominciare…) non si impara nulla e nell’approccio a ciascno di questi nodi siamo fermi alle vecchie categorie in un mondo dove l’interdipendenza ha cambiato tutto.
    Sembra quasi che Berlusconi sia stato un incidente di percorso, non l’esito di una sconfitta storica. La sua durata ci indica che così non è stato e dovrebbe interrogarci su come è cambiato questo paese nel suo profondo. Tanto da renderci consapevoli che l’uscita dal berlusconismo non avverrà con la bacchetta magica, tanto meno con un’esito elettorale. Che invece richiede un paziente lavoro di ricostruzione del tessuto sociale e nuovi sguardi sul presente.
    Se in Trentino non abbiamo a che fare con gli stessi cumuli di macerie è perché abbiamo compiuto un percorso diverso. Lo vogliamo capire o no che se il Trentino in questi quindici anni non è stato omologato al resto del’arco alpino è perché qualcuno ha impedito che lo sgretolarsi della DC avesse come sbocco la Lega e Forza Italia? E grazie a vent’anni di sperimentazione politica originale che hanno porato alla nascita della Margherita (e in segito dell’UpT) e all’ancoraggio del PATT nel centrosinistra. E infine grazie anche ad una sinistra che a partire dal 1989 ha saputo rimescolare idee e appartenenze?
    Allora perché, Roberto, liquidare questa diversità come “la stessa cantilena”? Sempre si può fare meglio e queste pagine non sono certo appiattite su quel che c’è come il migliore dei mondi possibile. Ma andate in qualsiasi altra regione italiana è guardatevi attorno.
    Certo, salvaguardare la coalizione era la cosa più importante da fare e per questo è stato giusto che il partito maggiore se ne facesse carico. Non per mantenere le cose come stanno, ma affinché le contraddizioni possano evolvere in maniera positiva. Per questo servono idee e buone prassi, non turarsi il naso. Michele