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Nel limite va trovata la misura del futuro

Il concetto di limite è davvero affascinante. Penso alle mani della giovane pianista cinese Yuja Wang, e in particolare alla sua interpretazione del volo del calabrone di Rimskij-Korsakov, una performance che pare aldilà delle possibilità umane per precisione e velocità.

Penso all’avventura dell’atleta americano di origine sudanese Lopez Lomong, che la settimana scorsa ha contato male i giri dei cinquemila metri e ha staccato al penultimo anziché all’ultimo. Sicché arrivato stremato, per primo, al traguardo, ha dovuto ricominciare a correre a perdifiato altri 400 metri, incalzato dai concorrenti, e ha rivinto, abbassando clamorosamente il record mondiale. Dunque il limite, il suo limite, si poteva oltrepassare.

Ai ragazzi del Campus universitario di Lucca racconto di come gli Sherpa nepalesi, prima del turismo, considerassero sacre e inviolabili le vette. Il limite delle scalate era ben tracciato. Nel corso dell’ultima edizione del filmfestival di Trento (buona, come sempre) assisto ad un breve filmato in cui una cordata di sprovveduti (in dialetto trentino suonerebbe meglio stormeniti) che nel Karakorum pakistano sale sul Gasherbrum. Il loro leitmotiv è : "Che cosa ci faccio qui?" (con interiezione volgare, che ometto). Arrivati in vetta uno si spiega e vomita (tanta fatica per andare a vomitare su una montagna sacra), mentre l’altro dice: "Presto, via, andiamocene di qui". Fine del documentario. Interessante, al limite.

E allora non sembri pellegrino questo titolo "Nel limite. La misura del futuro" del nuovo percorso culturale che il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani svilupperà quest’anno fino a febbraio 2013. La pace deve interrogarsi sul delirio dell’uomo che ostinatamente vuole piegare la natura anziché considerarla in alleanza, cosa che ci ha già portati oltre il limite: ai cambiamenti climatici, alla perdita di biodiversità, all’impoverimento – scrivono – dei paesaggi naturali e della mente. Siamo sette miliardi.

O le risorse esistenti vengono gestite con attenzione e ridistribuite equamente, o sarà la guerra. In realtà la guerra è già in corso, per il petrolio, per il gas, per l’acqua, sia pure in silenzio e a bassa intensità. Guerra per la terra come spazio vitale, considerato che la superficie coltivabile per sfamare nove miliardi di persone richiederebbe una politica e una autorità morale mondiale che oggi non ci sono.

Come sempre la fantascienza, ci aiuta a ragionare sui nostri limiti e sul nostro possibile futuro. Hunger Games è un film tratto da un romanzo scritto in stile videogioco, distribuito in questi giorni nelle sale cinematografiche. Una storia di competizione senza esclusione di colpi tra giovani (affamati). Li costringe a combattere tra loro un governo autoritario che esige tale sacrificio. E loro si ammazzano a vicenda, più o meno eroicamente, senza pensare ad una rivolta contro il sistema, senza fare una rivoluzione. Ahinoi. Ora neppure la fantascienza, con i suoi scenari dark e le usuali utopie negative, ci fa pensare ad un riscatto. Allora sì, forse resta solo l’inganno. Venghino signori venghino, questa sera c’è da divertirsi, gossip, calcio, Belen e gare di chef in tv. Per poi servire, a tradimento, un discorso quasi clandestino su quelli che sono al limite e non ce la fanno più.

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